* Umberto Eco, "Dieci modi di sognare il Medioevo", in: Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani, 1985, p. 89.
1. Così Michelangelo Picone, nell'Introduzione a Il racconto, a cura di M. Picone, Bologna: Il Mulino, 1985, p. 52.
2. Così Franco Fido nella voce "Architettura" del Lessico critico decameroniano, a cura di Renzo Bragantini e Pier Massimo Forni, Torino: Bollati Boringhieri, 1996, una limpida radiografia dell'edificio decameroniano, p. 14.
3. Richard Lanham, The Electronic Word. Democracy, Technology and the Arts, Chicago-London, Univ. of Chicago Press, 1993.
4. Lessico, cit. p. 8.
5. Non va ovviamente trascurato il fatto che si tratta della presentazione di un lessico, ossia appunto di uno strumento critico che non solo si articola a partire da una forma specifica di consultazione e di "uso" ma rimanda a sua volta ad una specifica genealogia epistemologica: non all'enciclopedismo delle Summae medievali, ma a varianti "minori" del progetto enciclopedico moderno, quali il dictionnaire portatif di Voltaire o l'Handlexicon di Gottsched, per giungere fino a pi rec05">enti (meno portatili e maneggevoli) esemplari tardo-moderni di progetto editoriale "enciclopedico" (es. Enciclopedia Einaudi). Per la teoria della convergenza il rimando è a: Hypertext: The Convergence of Contemporary Critical Theory and Technology, Baltimore and London: Johns Hopkins University Press, 1992, trad. it. di Bruno Bassi, Bologna: Baskerville, 1993 (una nuova edizione italiana, con l'aggiunta di una prefazione d'autore, è imminente presso la Bruno Mondadori editore). Per una prospettiva italiana sia consentito limitarsi a citare gli interventi di Mario Ricciardi, in particolare: "Studi umanistici e nuove tecnologie", in: Oltre il testo: gli ipertesti, a cura di M. Ricciardi, Milano: Angeli, 1994, pp. 9-40 e l'introduzione al volume Lingua Letteratura Computer, a cura di Mario Ricciardi, Torino: Bollati Boringhieri, 1996.
6. Claude Cazalé Bérard, Hyperdecameron (broken link), la definisce "un nouveau type d'édition critique multidimensionnelle et multimédia".
7. Per una presentazione iniziale di tale progetto, nelle sue caratteristiche di strumento didattico per il lavoro ermeneutico-interpretativo sul testo e ri-costruzione di contesti molteplici intorno al testo di Boccaccio, sia consentito rinviare a: Massimo Riva, "Il Decameron come ipertesto", scritto in collaborazione con un gruppo di dottorandi della Brown University (Giorgio Melloni, Michael Papio, Sergio Parussa, Giuliana Picco e Giuseppe Strazzeri) e contenuto nel volume Lingua Letteratura Computer, cit., pp.117-136.
8. Lessico, cit., p. 419: "Dalla sua prima trasmissione attraverso lettori affascinati e copisti per passione nella società mercatantesca e non amanuensi di professione e centri culturali ecclesiastici o laici fino all'identificazione dell'autografo scrutato e non riconosciuto per due secoli da grandi studiosi e filologi da Salvini e Manni e Zeno a Biadene e Tobler e Hecker e Massera e Barbi il Decameron sembra avere riflesso lungo quasi sei secoli e mezzo la sua estrosità e la sua singolarità letteraria nelle sue vicende testuali, sino a sfiorare il giallo ecdotico".
9. P. M. Forni, Forme complesse nel D., Firenze, Olschki, 1992.
10. Cfr. ad es. Raul Mordenti, "Il D.: una lettura tra semiologia e filologia", in Il testo ritrovato: Forme poetiche e classici a scuola, a cura di Francesco Gnerre, Ravenna: Longo, 1987, pp. 43-72.
11. Nel momento in cui anche la filologia prende atto, attraverso gli ausili dell'elettronica, che "il Testo letterario trattato con la macchina per essere «compreso» deve necessariamente essere scomposto e ricomposto, tipologizzato per categorie informative, «decostruito»: deve dunque sempre più essere reso omogeneo ai molteplici «testi» che formano l'universo comunicativo, rinunziare ad essere «Testo» per assumere il ruolo di «discorso» e rompere ogni rapporto con l'Autore" (Roberto Antonelli, "Interpretazione e critica del testo", in: Letteratura Italiana, a cura di Alberto Asor Rosa, IV, L'Interpretazione, p. 242), l'apporto della filologia come disciplina di lavoro e abitudine intellettuale risulta al contempo (e paradossalmente) più labile e più prezioso. Si vedano le osservazioni equilibrate di Corrado Bologna sulla "qualità inderogabilmente storicistica" della "costituzione del testo": "Il testo ?nel-tempo, come l'edizione che lo (ri)costituisce, appunto..." ("Costituire", in: Il testo letterario. Istruzioni per l'uso, a cura di Mario Lavagetto, Bari: Laterza, 1996, p. 20). Dal canto suo, Raoul Mordenti (sulla scorta della nozione "diasistemica" dell'apparato come «luogo del virtuale» di Cesare Segre) prende atto che "non si può fare a meno di domandarsi se la tecnologia informatica, e le possibilità che le sono connesse di un passaggio continuo ed utile fra testo ed apparato, non fondi a sua volta una diversa scala di valori e di obiettivi per la scienza filologica, sostituendo alla fissità del Testo con la T maiuscola la plurale mobilità di tanti e diversi testi diasistema" (citato da Cazalé Bérard).
12. C. Segre, "Leggere i testi del Medioevo", in: Notizie dalla crisi. Dove va la critica letteraria?, Torino, Einaudi, 1993, pp. 297-309.
13. Alla "visualizzazione" come categoria centrale della rivoluzione tecnologica in corso si rifa' il recente rapporto del Massachusetts Institute of Technology (1995) sulle nuove "tecnologie educative avanzate". Sia consentito anche qui di rinviare a: Massimo Riva: "Per una comunità della formazione letteraria: il WWW e la nuova italianistica", negli atti del convegno Internet: ricerca e/o didattica, organizzato dal Bollettino '900 e dal dipartimento di Italianistica dell'Università di Bologna, e tenutosi nel novembre del 1996, di prossima pubblicazione.
14. "...un exemple d'hypertexte pré-informatique assez satisfaisant et par conséquent un type de document qui s'adapte particulièrement bien à un traitement hypertextuel, en raison de la riche typologie des écritures, de la diversité et de l'absence d'homogénéité des contenus, des formes et modes de présentation ou de classification; en raison de l'absence de corrélation séquentielle et de chronologie entre les fragments, qui les rend disponibles pour un multiplicité de parcours de lecture et de traitement. Les Zibaldoni constituent, en effet, une «encyclopédie provisoire»".
15. Questo tipo di lettore sembra ricorrere pur sempre al principio d'Autore (e all'Opera vista come produzione-proiezione di una sua virtuale forma mentis) per legittimare-razionalizzare l'uso dei nuovi strumenti a sua disposizione: "Les Zibaldoni constituent, en fait, le laboratoire à partir duquel Boccace va forger une oeuvre originale, le Décaméron, qui emprunte certes à la Divine Comédie l'idée d'une structure fortement architecturée comme un microcosmeà l'image du monde, mais aussi à ses «carnets de notes» ou à ses«livres-archives d'auteur», comme les nomme A. Petrucci, leurouverture à la multiplicité des parcours et des lectures" (ancoraClaude Cazalé Bérard). Viene fatta salva, come si vede, in questeparole, anche la «libertà» del lettore, una volta salvaguardatoperò il diritto d'Autore (e l'arbitrato del lettore professionale).Scrive ancora Cazalé Bérard: "Le système narratif du Décaméron constitue par lui-m?me un système narratif en réseau pre-électronique:sa structure de type encyclopédique (soit comme répertoire decas humains «narrativisés», de modèles et de formes narratives, soumises à plusieurs critères d'organisation, explicites ou implicites)prévoit des parcours multiples de lecture, au de là des parcoursfixés par les règles narratives déclarées (souvent transgresséesau niveau m?me de la fiction)..."
16. Una definizione questa per altri versi adottata da Luca Toschinel suo intervento in The future of the Book, Berkeley: University of California Press, 1996 e nel volumeche accompagna il CD-Rom, "La famiglia dell'antiquario" di C.Goldoni in edizione elettronica, Venezia, Marsilio, 1996.
17. C'è chi, d'altra parte, come Bernard Cerquiglini (Éloge de la variante. Histoire critique de la philologie, Paris, Seuil, 1989, p. 25 e 54) nega addirittura che l'autoresia un'idea medievale, insistendo (secondo una prospettiva definibilepost-freudiana) sull'idea di una essenziale "varianza" che caratterizzerebbela dinamica profonda della letteratura del Medioevo volgare (cfr.le osservazioni in proposito di C. Bologna, cit., p. 17 e nota su Cerquiglini e alla pagina seguente, in riferimento a Contini,sull'irriducibile condizione temporale del nesso Autore-Testo).Rimane a nostro avviso il fatto che trattare il mezzo informaticocome puramente tale, un neutro strumento al servizio della formatrascendentale dell'Opera o della mente trascendentale del critico(in diretta empatia ecdotica con l'Autore, faticosamente e meritoriamenteacquisita grazie alla familiarità con le tracce, tendenzialmentetutte le tracce lasciate da Lui) come un attrezzo insomma chenon incide né sulla «forma» della prima né sulla de-formazione(professionale) della seconda, impedisce di vedere che proprioquesto è invece il caso. Impedisce soprattutto di vedere che nelDecameron sono virtualmente presenti non uno ma molteplici "ipertesti".
18. Ancora Landow, in un suo pi? recente intervento ("What's a Criticto Do? Critical Theory in the Age of Hypertext", introduzionea Hyper/Text/Theory, a cura di G. Landow, Baltimore and London: Johns Hopkins UniversityPress, 1994, pp. 36-37), delinea per il critico (ma anche peril didatta) della letteratura il compito di utilizzare la parolaelettronica, il nuovo ambiente della scrittura e della lettura,per portare alla luce aspetti meno immediatamente evidenti, divenutiuna "seconda natura" o addirittura reificati e mistificanti dellacultura basata sulla stampa, ivi incluse la teoria e le pratichedi una conservazione o custodia (sia fisica che simbolica) dell'integritàe "alterità" del testo o del suo "messaggio storico", pratichea loro volta formatesi in epoche in cui predominavano tecnologiedi produzione, riproduzione e diffusione dell'informazione (dinuovo, lettura e scrittura) oggi, secondo alcuni, tendenzialmenteobsolete.
19. U. Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi, 1984, p. 111.
20. Per un bilancio critico sul concetto di enciclopedia nell'operadi Eco si rimanda al saggio di Patrizia Violi, "Le molte enciclopedie", in: Semiotica: storia, teoria, interpretazione. Saggi intorno a Umberto Eco, Milano: Bompiani, 1992, pp. 99-113 (la citazione è a p.103).
21. U. Eco, Arte e bellezza nell'estetica medievale, Milano: Bompiani, 1987, p. 195. .
22. Sia sufficiente rinviare qui, per il tardo Medioevo, agli studi di Armando Petrucci, di cui basti citare, oltre ai contributial volume II, Produzione e Consumo, della Letteratura Italiana Einaudi, 1983: "Lire au Moyen Age", «Mélanges de l'Ecole fran?aise de Rome», XCVI (1984); "Storiae geografia delle culture scritte (dal sec. XI al sec. XVIII)", in Letteratura Italiana, Storia e Geografia, II, 2, Torino, Einaudi, 1988, pp. 1193-1292; Paul Saenger, "Leggerenel Tardo Medioevo", in Storia della lettura, a cura di G. Cavallo e R. Chartier, Bari, Laterza, 1995, pp. 118-154; Malcom Parks, Scribes, Scripts and Readers. Studies in the Communication, Presentation and Dissemination of Medieval Texts, London, Hambledon Press, 1991; e J.K. Hyde, Literacy and Its Uses. Studies on Late Medieval Italy, a cura di D. Walley, Manchester, Manchester Un. Press, 1992.
23. Nel nuovo scriptorium o laboratorio del critico infatti sono la "forma visuale" dell'ipertesto (Michael Joyce) e il modello cognitivo-percettivo cui tale forma si ispira che diventano specularmente cruciali.Questa visualizzazione del testo (consustanziale soprattutto all'atto della lettura "silenziosa") attraversa, a partire dal laboratorio autoriale, le varie forme della sua materializzazione nella scrittura manoscritta, a stampa, fino a giungere all'ambiente multimediale, non-lineare del testo elettronico, in cui lettura e scrittura, parola e immagine si combinano in forme nuove. Di Joyce, cui si deve la distinzione fondamentale tra ipertesto "esplorativo" e "costruttivo" è da vedere Of two Minds. Hypertext Pedagogy and Poetics, Ann Arbor, Univ. of Michigan Press, 1995.
24. È questo, in sintesi, il principio che guida la costruzione del nostro ipertesto ermeneutico-didattico, il Decameron Web. Per la cui ratio organizzativa si rimanda ancora ai nostri interventi citati alle note 5 e 7. Sul ruolo innovativo e costruttivo dell'"individuale" (o di una soggettività semiosica) nella "riorganizzazione dei repertori dell'enciclopedia" si veda l'importante saggio citatodi P. Violi (p. 108 sgg.)
25. M. Picone, "Il significato di un convegno sull'enciclopedismo medievale", in: L'Enciclopedismo medievale, a.c. di M. Picone, Ravenna, Longo, 1994, p. 21: "Del resto, il titolo stesso, Decameron, è un ammicco ironico all'Hexameron, che non è tanto l'omonima opera di Sant'Ambrogio, quanto una delle strutture fondamentali di cui si servono le enciclopedie medievali".
26. Suggestivo sarebbe qui seguire la pista di un confronto con Dante "personaggio mancato del Decameron" (per riprendere il titolo di un noto intervento di Franco Fido), proprio a partire dalla strategica rubrica proemiale, dal riferimento simultaneo alla tradizione cortese e al Dante sdoppiato "personaggio-testimone" di Inf. V, da leggersi come l'episodio di Dante e Francesca, rispettivamente "ascoltatore interessato" e narratrice, rivisitato (parodicamente?) da Boccaccio, nel Proemio: ove l'Autore si identifica/dissimula, per antonomasia, con il Libro che porge alle sue lettrici ideali, specularmente rovesciando la dinamica empatica e pietosa dell'episodio dantesco. Meno cogente, pur se non trascurabile, in questa prospettiva il nesso intertestuale con il sonetto proemiale del Canzoniere petrarchesco. In questo fitto intreccio, sembra emergere decisamente il profilo di "anti-modello" parodico del Decameron. Da vedere innanzitutto, per una prospettiva complessiva sulle forme e tecniche della "transazione" culturale instaurate dal Decameron, Francesco Bruni, Boccaccio. L'invenzione della letteratura mezzana, Bologna, Il Mulino, 1990. Inoltre, pi? specificamente per il tema accennato: Claude Cazalé Bérard, "Dante e Boccaccio: due strategie del narrare d'amore", «Rassegna Europea della Letteratura Italiana», III, 1994. Per una rivalutazione complessiva del rapporto con la tradizione cortese, si rinvia a Daniela Delcorno Branca, Boccaccio e le storie di Re Art?, Bologna, Il Mulino, 1991. Per una rassegna critica sulla "fittissima trama" del rapporto "parodico" tra Commedia divina ed umana, nell'ambito della vena parodica generale della cultura medievale, si cfr. (sullo sfondo aperto da Vittore Branca, Boccaccio medievale, Firenze, Sansoni, 1990, pp. 343-sgg.), oltre le puntualizzazioni recenti di Carlo Delcorno nella voce Ironia/parodia del Lessico, cit., pp. 171-sgg., le dettagliate analisi di A. Bettinzoli, "Per una definizione delle presenze dantesche nel «D.», «Studi sul B.», XIV, pp. 209-240. Per una ulteriore focalizzazione retrospettiva sul rapporto Dante-Boccaccio, sono da vedere gli interventi di Robert Hollander a cominciare da: "Boccaccio's Dante: Imitative Distance", «Studi sul B.», 1981-82, , 13, pp. 169-198.
27. Sul nesso tra "sistema del sapere" (enciclopedico) e "istanze narrative" si è concentrata Claude Cazalé Bérard in un ricco e complesso intervento: "Sistema del sapere e istanze narrative nella novellistica toscana medievale", in: L'Enciclopedismo medievale, cit., pp. 329-359. Identificate tre categorie della "secolarizzazione" narrativa rispetto al sistema del sapere medievale (trapianto, sia strutturale che linguistico, assimilazione e trasformazione), e rammentato, sulla scorta di M. Picone, come "la novella nasca nell'intercapedine tra sistema enciclopedico e produzione letteraria come messa in opera originale dei tratti oppositivi: come forma breve ma tendente all'organicità, come finzione ma con pretesa di autenticità, come genere minore ma assunto a trattare i magnalia, come messa in discussione ed estremo ricettacolo dell'umana sapienza" (p. 344), la Cazalé Bérard argomenta che col suo Centonovelle "Boccaccio capovolge i rapporti: non pi? un sistema del sapere entro il quale si fanno strada istanze narrative, bens? un sistema narrativo fatto lievitare da istanze conoscitive" (p. 348). Ne risulterebbe, nel testo, una costruzione en abîme, a livelli concentrici, giocati tutti sulla tensione strutturale e auto-referenziale (paradigmatico-sintagmatica) tra narrazione e commento. "Boccaccio assomma dunque nel D. l'esperienza del romanziere e del poeta con quelle del chiosatore e del compendiatore di materie storiche e allegoriche...L'opera di Boccaccio segna forse il momento limite delle potenzialità inventive del sistema enciclopedico medievale quando trapassano nella creatività letteraria" (p. 349 e 358). Come si vede, si tratta di una prospettiva ancora sostanzialmente gravitante sull'Autore, il quale (nel Proemio a Genealogie, Lib. XIV) affiderebbe al lettore professionale anche un mandato euristico, una sorta di motore di ricerca: "è proprio B. a definire i tre tempi del motore grazie al quale sistema del sapere e sistema narrativo si danno reciprocamente impulso: raccogliere, ordinare, interpretare".
28. Grammaire du D., The Hague, 1969, p. 78. Al di là dei suoi limiti, ormai datati e legati alle strutture stesse della "grammatica" narrativa da lui congegnata, ci pare che si potrebbe forse rilanciare (in questa chiave) l'idea di Todorov del Decameron come sistema (o modello) complesso dello "scambio falsato". Ripensato, però, secondo un'ottica semiologica sensibile alla dinamica o dialettica (già da tempo individuata all'interno della stessa cultura medievale) di modelli e antimodelli. Il riferimento implicito è al saggio di Maria Corti, "Modelli e antimodelli nella cultura medievale", «Strumenti Critici», febbraio 1978, pp. 3-sgg. che si rifaceva a sua volta alla lezione (così rilevante per gli studi recenti sul capolavoro di Boccaccio) di M. Bakhtin.
29. Ancora Michelangelo Picone, nel Lessico critico, alla voce Autore/narratori, insiste su di un rapporto di "specularità" (ancorché "prismatica") tra il primo e i secondi come elemento portante, nella struttura dell'opera, di una "profonda unità" e anche di una "latente fedeltà...allo spirito, se non alla lettera, della Commedia" dantesca (Lessico, cit., p. 36 e 39). A parte il generico monito che "the unity we find in literary texts is impregnated with the identity that finds that unity" (Norman Holland, "Unity Identity Text Self", PMLA, 90 (1975), pp. 813), queste affermazioni sono da temperare con quanto lo stesso Picone sostiene in un altro intervento, "Per una lettura ludica del D.", in: Passare il tempo: la letteratura del gioco e dell'intrattenimento dal XII al XVI secolo, a cura di E. Malato e M. Picone, Roma, Salerno ed., 1993, vol. I, pp.109-110: "...queste due opere...non fa[nno] altro che riproporre, in misura ovviamente ingigantita, l'opposizione, tipica della cultura medievale, fra seria e ludicra. Se infatti la Commedia si pone come la summa della tradizione allegorica, tesa a ritrovare la verità finale dell'uomo e del suo destino, il D., dal canto suo, rappresenta il punto di approdo della tradizione giocosa (dalla comoedia elegiaca al fabliau ) il cui obiettivo è quello di manifestare la verità mondana e terrena dell'uomo e della sua storia". Sul ludus Ciappelletti, v. pp. 126-sgg. Su Griselda e la lunga teoria delle interpretazioni (sulle quali non ci dilunghiamo in questa sede) si rimanda alla bibliografia a cura di V. Branca nell'edizione Einaudi, cit. pp. CXX, sgg.
30. Al di là della possibilità di precisare al massimo la natura semiotica di questa dialettica (ricorrendo magari all'opera di illustri "modellizzatori" alla Todorov o alla Greimas, tra modello "costituzionale" e anti-modello "attanziale", per ricorrere alla terminologia di quest'ultimo) concordiamo qui pienamente con la posizione espressa da Franco Fido tanto nella voce Architettura del Lessico, cit., che nella sua precedente raccolta di studi decameroniani: Il regime delle simmetrie imperfette, Milano, Angeli, 1988, pp. 7-8. Da vedere anche: G. Mazzacurati, "La regina e il buffone: ordo e varietas nella costruzione del D.", in All'ombra di Dioneo. Tipologie e percorsi della novella da Boccaccio a Bandello, Firenze, La Nuova Italia, 1996, pp. 37-43. E pi? in generale lo studio ancora pieno di stimoli di Mario Baratto, Realtà e stile nel D., Roma, Editori Riuniti, 1984, sulla "bipolarità" centrifuga dell'organismo decameroniano (pp. 12-sgg.). Va rammentato poi ancora il contributo di P. M. Forni, citato alla nota 10. Per una prospettiva pi? direttamente legata alle forme o tecniche culturali di "transazione" tra Autore e Lettore si rinvia ancora al già citato studio di Bruni.
31. E. Grimaldi, Il privilegio di Dioneo. L'eccezione e la regola nel sistema 'Decameron', Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1987.
32. "Indugiare nel bosco", in: U. Eco Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani, 1994, p. 159.
33. D'altra parte, basta scorrere il Motif Index of the Italian Novella in prose di Rotunda (Bloomington, 1942) o anche The D.: Its Sources and Analogues di A.C. Lee (New York, 1909), aggiundovi magari, sullo sfondo, la morfologia proppiana (o l'Index of Folk Literature dello Stith Thompson), per afferrare la strategia "intertestuale" (la ri-combinazione di racconti e tradizioni esistenti) che è fondamentale non solo per comprendere la logica compositiva del D. ma anche il "modello culturale" che esso delinea, una serie di procedimenti che l'ipertesto consente di visualizzare meglio (o altrimenti) che non la struttura "chiusa" del Libro a stampa. Che questa ricombinazione e tensione, interna al Libro e alla sua unità formale e simbolica, sia profondamente radicata nella cultura medievale può essere confermato tanto dalla lettura di C.S. Lewis "The Influence of the Model", The Discarded Image, Cambridge, 1964 che di Curtius (si veda la recente edizione italiana a.c. di R. Antonelli de Letteratura europea e Medio Evo latino, Firenze, La Nuova Italia, 1992).
34. Per una sottile ed esauriente analisi di questo aspetto si rimanda alla voce Realtà/verità di Pier Massimo Forni, nel Lessico, cit., pp. 300-sgg.
35. Ad es., in anni recenti, Christopher Nissen, "Ethical Modes in Boccaccio's D." «RLA», 1989, 1, pp. 191-96 e, soprattutto, ci pare, V. Kirkham, The Sign of Reason, Firenze, Olschki, 1993. Pier Massimo Forni, pur soffermandosi con intelligenti osservazioni sugli aspetti ludici dell' "intrattenimento Decameroniano" (in Passare il tempo: la letteratura del gioco e dell'intrattenimento dal XII al XVI secolo, cit., vol. II, pp. 529-540, ribadisce invece nella voce gia' citata del Lessico: "Si potranno discutere le componenti ludiche e parodiche dell'operazione, comunque la novella decameroniana assume regolarmente i connotati retorici di testo esemplare" (p. 304). E pi? in generale (sulla questione, qui evocata, del realismo): "È assai importante, addirittura decisivo... che il realismo boccacciano sia valutato sullo sfondo di quei cruciali mutamenti di pensiero, e anzi di visione del mondo divulgatisi nel corso del Duecento... Parlare di un realismo di Boccaccio dipendente da un realismo dantesco ignorando la comune matrice del realismo francescano-tomista non ha molto senso..." (p. 313). Lo stesso Forni, nelle stesse pagine, sottolinea però, sia pure en passant, la natura "felicemente centrifug(a), gioiosamente impersonale" del Centonovelle rispetto "alla natura essenzialmente, sia pure diversamente, centripeta...delle monumentali opere in volgare delle altre due corone, la Commedia, appunto, e i Rerum vulgarium fragmenta" (p. 315).
36. Si confronti, per l'altro volto di questa identità autoriale, la Conclusione del D., pp. 1255-56 ("Senza che alla mia penna non dee essere meno d'auttorità conceduta che sia al pennelo del dipintore...) e si ricordi, soprattutto, l'interpretazione pasoliniana della novella, con la sostituzione autoriale di cui parliamo (una delle tante suggestioni dell'interpretazione pi? che semplice adattamento in un medium differente, della diegesi decameroniana). Sulla feconda "mislettura" pasoliniana del D. da vedere, di recente, il capitolo dedicato al D. da M. Marcus in Filmmaking by the Book: Italian Cinema and Literary Adaptation, Baltimore, Johns Hopkins U. P., 1993. Cfr. anche le puntualizzazioni di Pamela Stewart, "Giotto e la rinascita della pittura: D. VI.5", in Yearbook of Italian Studies, 1983, 5, pp. 22-34. E Paul Watson, "The Cement of Fiction: G. B. and the Painters of Florence", «MLN», 1984, Jan., 99-1, pp. 43-64.
37. Oltre che ai noti studi di Almansi (sulla "menzogna narrativa") e Mazzotta (sulla "marginalità della letteratura"), per un recente intervento, in area americana e da una prospettiva "postmodernista", eccentrica rispetto agli studi boccacciani maggiori, e discutibile ma sintomatica nel contesto del nostro discorso sulla ricezione contemporanea del D., si rimanda a Bennet Schaber, "The Aesthetics of Deception: Giotto in the Text of Boccaccio, in: Postmodernism across the Ages, a cura di B. Readings & B. Schaber, Syracuse, NY, Syracuse U.P., 1993, pp. 47-62.
38. Si può apparentare, in qualche modo, la costruzione del mondo (possibile) decameroniano alla "rivoluzione" post-occamistica nella mentalità trecentesca, alla percezione di un universo composito (o discreto) di discontinuità che si sostituisce a quella "piramidale" averroistica ancora sostanzialmente alla base della cosmologia dantesca? "...c'è un passaggio dalla visione dell'essere conchiuso nella sua realtà all'uomo poeta, che vuol dire creatore. All'uomo che non ha da contemplare un ordine dato, da attuare un'essenza eterna, ma che ha dinanzi infinite possibilità. Il mondo, lungi dall'essere fisso entro forme cristallizzate, è plasmabile in guise sempre nuove, e non c'è necessità che non s'incrini, non forma che non si trasformi; e libertà d'uomo indica un essere il cui volto non è mai definito..." (Eugenio Garin, Medioevo e Rinascimento, Bari, Laterza, 1976, p. 36). "Confesso nondimeno le cose di questo mondo non avere stabilità alcuna ma sempre essere in mutamento..." (Conclusione dell'Autore, ed. Branca, cit. p. 1261). E tra le cose del mondo va annoverata anche la "lingua mortale" del poeta.
39. V. Branca, "B. visualizzato. I. Interpretazioni visuali del D. II. Un primo elenco di codici illustrati di opere del B." «Studi sul B.», XV, pp. 87-148.
40. La tecnica di composizione della novella, tr. Raoul Precht, Roma-Napoli: Edizioni Theoria, 1984, p. 27.
41. Questa polarità tra brigata e "libertà" del lettore è alla base del design del nostro ipertesto costruttivo: il lettore attivo, empirico fa per così dire ingresso nel "mondo commentato" del Decameron, "impersonando" criticamente uno dei membri della brigata, nella loro duplice funzione di narratori/ascoltatori (ricettori) del testo.
42. Auerbach op. cit. pp. 81-7. Ciò sembrerebbe suggerire che un modello Auerbachiano (ragionato secondo una prospettiva semiologica) sia preferibile a modelli "grammaticali" di tipo Proppiano, Greimasiano o Todoroviano. È, crediamo, una prospettiva non lontanissima da quella espressa in pi? luoghi da Cesare Segre, di un "modello semiotico-culturale" di ampio respiro (si veda, tra i molti rimandi possibili, Semiotica filologica, Torino, Einaudi, 1979) aperta però al rapporto dialogico interattivo del testo col lettore contemporaneo. Ma la cosa va naturalmente approfondita e, soprattutto, verificata in via sperimentale; per un recente contributo al dibattito non esaurito sul Boccaccio di Auerbach, si può vedere: Albert R. Ascoli, "Boccaccio's Auerbach: Holding the Mirror Up to Mimesis", «Studi sul B.», 1991-92, 20, pp. 377-97.
43. F. Fido, "Arch.", Lessico, cit. , p.32. Si paragoni questa visuale con quella enunciata eloquentemente dal Foscolo, non a caso nell'ambito delle sue riflessioni "sperimentali" (cfr. il riferimento alle "osservazioni" di Galileo da cui prende le mosse) sulla traduzione dell'Iliade, alle prese dunque con una "rappresentazione" o "modellizzazione" funzionale di un classico: "Quella osservazione delle intarsiature di Galileo, ch'io stimo pi? di molte teorie rettoriche, mi fece germinare nella mente un'idea che se non fosse nuova per avventura, riescirà nuovamente e chiaramente a quanto io credo spiegata. Ed è che tanto in prosa, quanto in versi lo scrittore deve esattamente osservare il Disegno del pensiero; né io intendo il disegno generale dell'opera che altri chiamerà architettura o economia, o franciosamente piano, bensì il disegno di ogni pensiero partitamente prima considerata ogni parola con l'altra e per conseguenza ogni idea destata da ogni parola, e poi ogni gruppo di minime idee, con le altre vicine; e poi tutto il pensiero prodotto dalle idee riunite; e quindi il periodo, e un periodo con l'altro; in guisa che ne risulti una progressione di membri e di suoni [...] e il tutto abbia una varietà di suoni, di tinte, e di passaggi di luce e di chiaroscuro, che non è infine del conto se non quell'incantesimo che produce l'armonia, quell'arte che è sì difficile nell'architettura, che costituisce la perfezione della pittura, e delle arti belle, e che la Natura ha con sì divina potenza sparse sovra le cose del'universo..." (Opere, ed. naz., vol. III, t. I, pp. 232-33). Ove il concetto finale "pittorico" di arte ispirata (o dettata) da Natura ci riconduce alla discussione sul Boccaccio "giottesco".
44. In questa chiave potrebbe essere anche riletta (come è stato fatto) la novella performativa di Madonna Oretta. Anche l'incompiuto d'autore (si pensi alla novelletta delle "papere" che introduce la seconda parte del Libro), alluderebbe così ad un ruolo (inter)attivo della lettrice modello.
45. Per una discussione di questi rapporti si veda la voce Filoginia/Misoginia, di Cazalé Bérard nel Lessico, cit. pp. 116-141.
46. Si veda la recente e intelligente lettura di Marco Veglia (Novella VI, 9) in: Breviario dei classici italiani. Guida all'interpretazione di testi esemplari da Dante a Montale, a cura di G.M. Anselmi, A. Cottignoli, E. Pasquini, Milano, Bruno Mondadori, 1996, pp. 44-56. E Robert Durling, "Boccaccio on Interpretation: Guido's Escape" in Dante, Petrarch, Boccaccio: Studies in the Italian Trecento in Honor of Charles S. Singleton, a cura di Aldo S. Bernardo, Binghampton, NY, Medieval & Renaissance Texts and Studies, 1983, pp. 273-304.
47. Cfr. Antonio D'Andrea. Le rubriche del Decameron, «Yearbook of Italian Studies» [1973-1975], pp. 41-67.
48. Non è questo forse che la critica stessa ha copiosamente praticato con innumerevoli letture di singole novelle? Sono, da questo punto di vista, paragonabili le une alle altre pratiche critiche come quella ad esempio tipizzata dalla Lectura Dantis (consuetudinariamente basata sull'unità dei canti)?
49. Teoria della prosa (1924), Torino, 1976, pp. 92-93.
50. Cfr. ancora Franco Fido, Lessico, cit., p.32: "Al centro di questo sistema, i novellatori del D. producono dicendo le loro storie, come i narratori di Conrad, un evento letterario, e al tempo stesso sono prodotti da altri eventi, in ultima istanza dall'evento storico della peste..."