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La categoria di relazione -decisiva teologicamente parlando per questioni suscitate dalla redazione del dogma trinitario- è stata oggetto di un lungo dibattito nel Medioevo. In genere, si potrebbe dire che le posizioni paradigmatiche al riguardo sono tre. La prima è quella che afferma sia la realtà sia l'oggettività delle relazioni, come fa, ad es. Tommaso d'Aquino in S.Th.I, q.13, a.7: secondo questa posizione, le cose stesse hanno una riguardo l'altra una disposizione che è naturale e quindi reale e oggettiva. Sulla stessa linea, Duns Scoto sottolinea il carattere di dispositio che ha la relazione. Uno dei suoi argomenti è che, se non si ammettesse quella disposizione come qualcosa di reale, non si potrebbe spiegare la composizione degli enti: se l'unione di A e B si riduce agli stessi A e B assoluti, base della relazione, il composto che costituiscono non sarebbe diverso da A e B separati e, quindi, non si tratterebbe di un composto (cf. Opus ox.II, d.1, q.4, a.5). Su questo punta la trascrizione che fa Pico di questa tesi scotista. La seconda posizione sull'argomento della relazione nega tanto la realtà quanto il carattere oggettivo nella relatio in sé, dottrina che ha la sua origine in Avicenna. Enrico di Gante la riprende, come si vede nella tesi 13 delle Conclusiones secondo il suo pensiero. Pico, in genere, concorda con questa seconda posizione. La terza, tipicamente ockhamista, considera le relazioni non reali ma obbiettive. In effetti, secondo Ockham la relazione è un concetto oggetivo che si basa su vari enti reali, per es., un popolo non costituisce un ente reale però è una nozione basata oggettivamente su uomini reali (cf., per es., In I Sent. d.30, q.1).
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