[ 001 ] Due sanesi amano una donna comare dell'uno: muore il compare e torna al compagno secondo la promessa fattagli e raccontagli come di là si dimori.
[ 002 ] Restava solamente al re il dover novellare; il quale, poi che vide le donne racchetate, che del pero tagliato che colpa avuta non avea si dolevano, incominciò:
[ 003 ] Manifestissima cosa è che ogni giusto re primo servatore dee essere delle leggi fatte da lui, e se altro ne fa, servo degno di punizione e non re si dee giudicare: nel quale peccato e riprensione a me, che vostro re sono, quasi costretto cader conviene. [ 004 ] Egli è il vero che io ieri la legge diedi a' nostri ragionamenti fatti oggi con intenzione di non voler questo dí il mio privilegio usare ma, soggiacendo con voi insieme a quella, di quello ragionare che voi tutti ragionato avete. [ 005 ] Ma egli non solamente è stato ragionato quello che io imaginato avea di raccontare, ma sonsi sopra quello tante altre cose e molto piú belle dette, che io per me, quantunque la memoria ricerchi, rammentar non mi posso né conoscere che io intorno a sí fatta materia dir potessi cosa che alle dette s'appareggiasse. [ 006 ] E per ciò, dovendo peccare nella legge da me medesimo fatta, sí come degno di punigione infino a ora a ogni ammenda che comandata mi fia mi proffero apparecchiato, e al mio privilegio usitato mi tornerò. [ 007 ] E dico che la novella detta da Elissa del compare e della comare e appresso la bessaggine de' sanesi hanno tanta forza, carissime donne, che, lasciando star le beffe agli sciocchi mariti fatte dalle lor savie mogli, mi tirano a dovervi contare una novelletta di loro: la quale, ancora che in sé abbia assai di quello che creder non si dee, nondimeno sarà in parte piacevole a ascoltare.
[ 008 ] Furono adunque in Siena due giovani popolari, de' quali l'uno ebbe nome Tingoccio Mini e l'altro fu chiamato Meuccio di Tura, e abitavano in porta Salaia; e quasi mai non usavano se non l'un con l'altro, e per quello che paresse s'amavano molto. [ 009 ] E andando, come gli uomini vanno, alle chiese e alle prediche, piú volte udito avevano e della gloria e della miseria che all'anime di color che morivano era, secondo li lor meriti, conceduta nell'altro mondo; delle quali cose disiderando di saper certa novella né trovando il modo, insieme si promisero che qual prima di lor morisse, a colui che vivo fosse rimaso, se potesse, ritornerebbe e direbbegli novelle di quello che egli desiderava: e questo fermaron con giuramento.
[ 010 ] Avendosi adunque questa promession fatta e insieme continuamente usando, come è detto, avvenne che Tingoccio divenne compare d'uno Ambruogio Anselmini, che stava in Camporeggi, il quale d'una sua donna chiamata monna Mita aveva avuto un figliuolo. [ 011 ] Il quale Tingoccio insieme con Meuccio visitando alcuna volta questa sua comare, la quale era una bellissima e vaga donna, non obstante il comparatico s'inamorò di lei; e Meuccio similmente, piacendogli ella molto e molto udendola commendare a Tingoccio, se ne innamorò. [ 012 ] E di questo amore l'un si guardava dall'altro, ma non per una medesima ragione: Tingoccio si guardava di scoprirlo a Meuccio per la cattività che a lui medesimo parea fare d'amare la comare, e sarebbesi vergognato che alcuno l'avesse saputo; Meuccio non se ne guardava per questo ma perché già avveduto s'era che ella piaceva a Tingoccio, laonde egli diceva: [ 013 ] “ Se io questo gli discuopro, egli prenderà gelosia di me, e potendole a ogni suo piacere parlare, sí come compare, in ciò che egli potrà la mi metterà in odio, e cosí mai cosa che mi piaccia di lei io non avrò ” .
[ 014 ] Ora, amando questi due giovani come detto è, avvenne che Tingoccio, al quale era piú destro il potere alla donna aprire ogni suo disiderio, tanto seppe fare e con atti e con parole, che egli ebbe di lei il piacer suo; di che Meuccio s'accorse bene, e quantunque molto gli dispiacesse, pure, sperando di dovere alcuna volta pervenire al fine del suo disiderio, acciò che Tingoccio non avesse materia né cagione di guastargli o d'impedirgli alcun suo fatto, faceva pur vista di non avvedersene.
[ 015 ] Cosí amando i due compagni, l'uno piú felicemente che l'altro, avvenne che, trovando Tingoccio nelle possessioni della comare il terren dolce, tanto vangò e tanto lavorò, che una infermità ne gli sopravvenne; la quale dopo alquanti dí sí l'aggravò forte che, non potendola sostenere, trapassò di questa vita. [ 016 ] E trapassato il terzo dí appresso, ché forse prima non aveva potuto, se ne venne, secondo la promession fatta, una notte nella camera di Meuccio e lui, il qual forte dormiva, chiamò.
[ 017 ] Meuccio destatosi disse: “ Qual se' tu? ”
[ 018 ] A cui egli rispose: “ Io son Tingoccio, il quale, secondo la promessione che io ti feci, sono a te tornato a dirti novelle dell'altro mondo ” .
[ 019 ] Alquanto si spaventò Meuccio veggendolo, ma pure rassicurato disse: “ Tu sie il ben venuto, fratel mio! ” , e poi il domandò se egli era perduto.
[ 020 ] Al quale Tingoccio rispose: “ Perdute son le cose che non si ritruovano: e come sare' io in mei chi se io fossi perduto? ”
[ 021 ] “ Deh, ” disse Meuccio “ io non dico cosí, ma io ti dimando se tu se' tra l'anime dannate nel fuoco pennace di Ninferno ” .
[ 022 ] A cui Tingoccio rispose: “ Costetto no, ma io son bene, per li peccati da me commessi, in gravissime pene e angosciose molto ” .
[ 023 ] Domandò allora Meuccio particularmente Tingoccio che pene si dessero di là per ciascun de' peccati che di qua si commettono, e Tingoccio gliele disse tutte. Poi il domandò Meuccio se egli avesse di qua per lui a fare alcuna cosa. A cui Tingoccio rispose di sí, e ciò era che egli facesse per lui dire delle messe e delle orazioni e fare delle limosine, per ciò che queste cose molto giovavano a quei di là; a cui Meuccio disse di farlo volentieri.
[ 024 ] E partendosi Tingoccio da lui, Meuccio si ricordò della comare, e sollevato alquanto il capo disse: “ Ben che mi ricorda, o Tingoccio: della comare con la quale tu giacevi quando eri di qua, che pena t'è di là data? ”
[ 025 ] A cui Tingoccio rispose: “ Fratel mio, come io giunsi di là, sí fu uno il qual pareva che tutti i miei peccati sapesse a mente, il quale mi comandò che io andassi in quel luogo nel quale io piansi in grandissima pena le colpe mie, dove io trovai molti compagni a quella medesima pena condannati che io; e stando io tra loro e ricordandomi di ciò che già fatto avea con la comare e aspettando per quello troppo maggior pena che quella che data m'era, quantunque io fossi in un gran fuoco e molto ardente, tutto di paura tremava. [ 026 ] Il che sentendo un che m'era dallato, mi disse: “ Che hai tu piú che gli altri che qui sono, che triemi stando nel fuoco? ” “ O, ” diss'io “ amico mio, io ho gran paura del giudicio che io aspetto d'un gran peccato che io feci già ” . [ 027 ] Quegli allora mi domandò che peccato quel fosse. A cui io dissi: “ Il peccato fu cotale, che io mi giaceva con una mia comare, e giacquivi tanto, che io me ne scorticai ” . [ 028 ] E egli allora, faccendosi beffe di ciò, mi disse: “ Va, sciocco, non dubitare, ché di qua non si tiene ragione alcuna delle comari! ” ; il che io udendo tutto mi rassicurai ” . [ 029 ] E detto questo, appressandosi il giorno disse: “ Meuccio, fatti con Dio, ché io non posso piú esser con teco ” ; e subitamente andò via.
[ 030 ] Meuccio, avendo udito che di là niuna ragion si teneva delle comari, cominciò a far beffe della sua sciocchezza, per ciò che già parecchie n'avea risparmiate; per che, lasciata andar la sua ignoranza, in ciò per innanzi divenne savio. Le quali cose se frate Rinaldo avesse sapute, non gli sarebbe stato bisogno d'andar silogizzando quando convertí a' suoi piaceri la sua buona comare.
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