[ 001 ] Ghino di Tacco piglia l'abate di Cligní e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia; il quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa e fallo friere dello Spedale.
[ 002 ] Lodata era già stata la magnificenzia del re Anfonso nel fiorentin cavaliere usata, quando il re, al quale molto era piaciuta, a Elissa impose che seguitasse; la quale prestamente incominciò:
[ 003 ] Dilicate donne, l'essere stato un re magnifico e l'avere la sua magnificenzia usata verso colui che servito l'avea non si può dire che laudevole e gran cosa non sia: ma che direm noi se si racconterà un cherico aver mirabil magnificenzia usata verso persona che, se inimicato l'avesse, non ne sarebbe stato biasimato da persona? [ 004 ] Certo non altro se non che quella del re fosse virtú e quella del cherico miracolo, con ciò sia cosa che essi tutti avarissimi troppo piú che le femine sieno, e d'ogni liberalità nimici a spada tratta: e quantunque ogn'uomo naturalmente appetisca vendetta delle ricevute offese, i cherici, come si vede, quantunque la pazienzia predichino e sommamente la rimession delle offese commendino, piú focosamente che gli altri uomini a quella discorrono. La qual cosa, cioè come un cherico magnifico fosse, nella mia seguente novella potrete conoscere aperto.
[ 005 ] Ghino di Tacco, per la sua fierezza e per le sue ruberie uomo assai famoso, essendo di Siena cacciato e nimico de' conti di Santafiore, ribellò Radicofani alla Chiesa di Roma: e in quel dimorando, chiunque per le circustanti parti passava rubar faceva a' suoi masnadieri. [ 006 ] Ora, essendo Bonifazio papa ottavo in Roma, venne a corte l'abate di Cligní, il quale si crede essere un de' piú ricchi prelati del mondo; e quivi guastatoglisi lo stomaco, fu da' medici consigliato che egli andasse a' bagni di Siena e guerirebbe senza fallo; per la qual cosa, concedutogliele il Papa, senza curar della fama di Ghino, con gran pompa d'arnesi e di some e di cavalli e di famiglia entrò in camino.
[ 007 ] Ghino di Tacco, sentendo la sua venuta, tese le reti e senza perderne un sol ragazzetto l'abate con tutta la sua famiglia e le sue cose in uno stretto luogo racchiuse; e questo fatto, un de' suoi, il piú saccente, bene accompagnato mandò allo abate, al quale da parte di lui assai amorevolmente gli disse che gli dovesse piacere d'andare a smontare con esso Ghino al castello. [ 008 ] Il che l'abate udendo, tutto furioso rispose che egli non ne voleva far niente, sí come quegli che con Ghino niente aveva a fare, ma che egli andrebbe avanti e vorrebbe veder chi l'andar gli vietasse.
[ 009 ] Al quale l'ambasciadore umilmente parlando disse: “ Messere, voi siete in parte venuto dove, dalla forza di Dio in fuori, di niente ci si teme per noi, e dove le scomunicazioni e gl'interdetti sono scomunicati tutti; e per ciò piacciavi per lo migliore di compiacere a Ghino di questo ” .
[ 010 ] Era già, mentre queste parole erano, tutto il luogo di masnadieri circundato: per che l'abate, co' suoi preso veggendosi, disdegnoso forte con l'ambasciadore prese la via verso il castello, e tutta la sua brigata e li suoi arnesi con lui; e smontato, come Ghino volle, tutto solo fu messo in una cameretta d'un palagio assai obscura e disagiata, e ogn'altro uomo secondo la sua qualità per lo castello fu assai bene adagiato, e i cavalli e tutto l'arnese messo in salvo senza alcuna cosa toccarne.
[ 011 ] E questo fatto, se n'andò Ghino all' abate e dissegli: “ Messere, Ghino, di cui voi siete oste, vi manda pregando che vi piaccia di significarli dove voi andavate e per qual cagione ” .
[ 012 ] L'abate che, come savio, aveva l'altierezza giú posta, gli significò dove andasse e perché. Ghino, udito questo, si partí e pensossi di volerlo guerire senza bagno: e faccendo nella cameretta sempre ardere un gran fuoco e ben guardarla, non tornò a lui infino alla seguente mattina, e allora in una tovagliuola bianchissima gli portò due fette di pane arrostito e un gran bicchiere di vernaccia da Corniglia, di quella dello abate medesimo; e sí disse all'abate: [ 013 ] “ Messer, quando Ghino era piú giovane, egli studiò in medicina, e dice che apparò niuna medicina al mal dello stomaco esser miglior che quella che egli vi farà, della quale queste cose che io vi reco sono il cominciamento; e per ciò prendetele e confortatevi ” .
[ 014 ] L'abate, che maggior fame aveva che voglia di motteggiare, ancora che con isdegno il facesse, sí mangiò il pane e bevve la vernaccia e poi molte cose altiere disse e dimolte domandò e molte ne consigliò, e in ispezieltà chiese di poter veder Ghino. [ 015 ] Ghino, udendo quelle, parte ne lasciò andar sí come vane e a alcuna assai cortesemente rispose, affermando che, come Ghino piú tosto potesse, il visiterebbe; e questo detto da lui si partí, né prima vi tornò che il seguente dí con altrettanto pane arrostito e con altrettanta vernaccia; e cosí il tenne piú giorni, tanto che egli s'accorse l'abate aver mangiate fave secche le quali egli studiosamente e di nascoso portate v'aveva e lasciate.
[ 016 ] Per la qual cosa egli il domandò da parte di Ghino come star gli pareva dello stomaco; al quale l'abate rispose: “ A me parrebbe star bene, se io fossi fuori delle sue mani; e appresso questo, niun altro talento ho maggior che di mangiare, sí ben m'hanno le sue medicine guerito ” .
[ 017 ] Ghino adunque, avendogli de' suoi arnesi medesimi e alla sua famiglia fatta acconciare una bella camera e fatto apparecchiare un gran convito, al quale con molti uomini del castello fu tutta la famiglia dello abate, a lui se n'andò la mattina seguente e dissegli: “ Messere, poi che voi ben vi sentite, tempo è d'uscire d'infermeria ” ; e per la man presolo, nella camera apparecchiatagli nel menò, e in quella co' suoi medesimi lasciatolo, a far che il convito fosse magnifico attese.
[ 018 ] L'abate co' suoi alquanto si ricreò e qual fosse la sua vita stata narrò loro, dove essi in contrario tutti dissero sé essere stati maravigliosamente onorati da Ghino; ma l'ora del mangiar venuta, l'abate e tutti gli altri ordinatamente e di buone vivande e di buoni vini serviti furono, senza lasciarsi Ghino ancora all'abate conoscere. [ 019 ] Ma poi che l'abate alquanti dí in questa maniera fu dimorato, avendo Ghino in una sala tutti li suoi arnesi fatti venire e in una corte che di sotto a quella era tutti i suoi cavalli infino al piú misero ronzino allo abate se n'andò e domandollo come star gli pareva e se forte si credeva essere da cavalcare; a cui l'abate rispose che forte era egli assai e dello stomaco ben guerito e che starebbe bene qualora fosse fuori delle mani di Ghino.
[ 020 ] Menò allora Ghinol'abate nella sala dove erano i suoi arnesi e la sua famiglia tutta: e fattolo a una finestra accostare donde egli poteva tutti i suoi cavalli vedere disse: [ 021 ] “ Messer l'abate, voi dovete sapere che l'esser gentile uomo e cacciato di casa sua e povero e avere molti e possenti nimici hanno, per potere la sua vita difendere e la sua nobiltà, e non malvagità d'animo, condotto Ghino di Tacco, il quale io sono, a essere rubatore delle strade e nimico della corte di Roma. [ 022 ] Ma per ciò che voi mi parete valente signore, avendovi io dello stomaco guerito come io ho, non intendo di trattarvi come un altro farei, a cui, quando nelle mie mani fosse come voi siete, quella parte delle sue cose mi farei che mi paresse: ma io intendo che voi a me, il mio bisogno considerato, quella parte delle vostre cose facciate che voi medesimo volete. [ 023 ] Elle sono interamente qui dinanzi da voi tutte, e i vostri cavalli potete voi da cotesta finestra nella corte vedere: e per ciò e la parte e 'l tutto come vi piace prendete, a da questa ora innanzi sia e l'andare e lo stare nel piacer vostro ” .
[ 024 ] Maravigliossi l'abate che in un rubator di strada fosser parole sí libere: e piacendogli molto, subitamente la sua ira e lo sdegno caduti, anzi in benivolenzia mutatisi, col cuore amico di Ghino divenuto, il corse a abbracciar dicendo: [ 025 ] “ Io giuro a Dio che, per dover guadagnar l'amistà d'uno uomo fatto come omai io giudico che tu sii, io sofferrei di ricevere troppo maggiore ingiuria che quella che infino a qui paruta m'è che tu m'abbi fatta. Maladetta sia la fortuna, la quale a sí dannevole mestier ti costrigne! ” [ 026 ] E appresso questo, fatto delle sue molte cose pochissime e oportune prendere e de' cavalli similemente, e l'altre lasciategli tutte, a Roma se ne tornò.
[ 027 ] Aveva il Papa saputa la presura dello abate: e come che molto gravata gli fosse, veggendolo il domandò come i bagni fatto gli avesser pro: al quale l'abate sorridendo rispose: “ Santo Padre, io trovai piú vicino che' bagni un valente medico, il quale ottimamente guerito m'ha ” ; e contogli il modo, di che il Papa rise: al quale l'abate, seguitando il suo parlare, da magnifico animo mosso, domandò una grazia.
[ 028 ] Il Papa, credendo lui dover domandare altro, liberamente offerse di far ciò che domandasse; allora l'abate disse: “ Santo Padre, quello che io intendo di domandarvi è che voi rendiate la grazia vostra a Ghino di Tacco mio medico, per ciò che tra gli altri uomini valorosi e da molto che io accontai mai, egli è per certo un de' piú, e quel male il quale egli fa, io il reputo molto maggior peccato della fortuna che suo: [ 029 ] la qual se voi con alcuna cosa dandogli, donde egli possa secondo lo stato suo vivere, mutate, io non dubito punto che in poco di tempo non ne paia a voi quello che a me ne pare ” .
[ 030 ] Il Papa, udendo questo, sí come colui che di grande animo fu e vago de' valenti uomini, disse di farlo volentieri se da tanto fosse come diceva, e che egli il facesse sicuramente venire. [ 031 ] Venne adunque Ghino, fidato, come allo abate piacque, a corte; né guari appresso del Papa fu che egli il reputò valoroso, e riconciliatoselo gli donò una gran prioria di quelle dello Spedale, di quello avendol fatto far cavaliere; la quale egli, amico e servidore di santa Chiesa e dello abate di Cligní, tenne mentre visse.
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