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Corbaccio

IV   Sogno - Dialogo

[040]"Qual malvagia fortuna, qual malvagio destino t'ha nel presente diserto condotto? Dove è il tuo avedimento fuggito, dove la tua discrezione? Se tu hai sentimento quanto solevi, non discerni tu che questo è luogo di corporal morte e perdimento d'anima, che è molto peggio? Come ci se' tu venuto? qual trascuranza t'ha qui guidato?"

[041]Io, costui udendo e parendomi ne' suoi sembianti assai di me pietoso, prima ch'io potessi alla risposta avere la voce, dirottamente, di me increscendomi, cominciai a piangere. Ma, poi che alquanto sfogata fu la nuova passione per le lagrime, raccolte alquanto le forze dello animo in uno, con rotta voce e non senza vergogna, rispuosi:

[042]"Sì come io penso, il falso piacere delle caduche cose, il quale più savio ch'io non sono già trasviò molte volte e forse a non minor pericolo condusse, qui, prima che io m'accorgessi dov'io m'andassi, m'ebbe menato: là dove <in> amaritudine incomportabile e senza speranza alcuna, da poi che io mi ci vidi, che è sempre stato di notte, dimorato sono. [043]Ma, poi che la divina grazia, sì come credo, e non per mio merito, mi t'ha inanzi parato, io ti priego, se colui se' il quale già molte volte in altra parte veder mi parve, che tu – per quello amore che alla comune patria dèi e appresso per quello Dio, per lo quale ogni cosa si dee, e se in te è alcuna umanità – che di me t'incresca; e, se sai, m'insegni com'io de luogo, di tanta paura pieno, partir mi possa; dalla quale già sì vinto mi sento che a pena conosco s'io o vivo o morto mi sono."

[044]Parvemi allora, nel viso guardandolo, ch'egli alquanto delle mie parole ridesse con seco stesso e poi dicesse:

[045]"Veramente mi fa il qui vederti e le tue parole assai manifesto, se altrimenti nol conoscessi, te del vero sentimento essere uscito e <non> conoscere se vivo ti sii o morto; il quale se da te non avessi cacciato, ricordandoti quali occhi fossero quelli e di cui, la cui luce, secondo il vostro parlare, t'aperse il camino che qui t'ha condotto, e fecetelo parere così bello, e conoscendo quanto fossero a me, tu non aresti avuto ardire di pregarmi per la tua salute; ma, veggendomi, ti saresti ingegnato di fuggire per téma di non perderne alquanta che ancora t'è rimasa. [046]E, se io fossi colui che io già fui, per certo non aiuto ti presterrei ma confusione e danno, sì come a colui che ottimamente l'hai meritato. Ma, per ciò che io, poi che dalla vostra mortale vita sbandito fui, ho la mia ira in carità transmutata, non sarà alla tua domanda negato il mio aiuto."

[047]Alle cui parole stando io attento quanto poteva, quando io udi': "poi che dalla vostra mortale vita fui sbandito", riconoscendo non costui essere quello che io estimava ma la sua ombra, così uno repente freddo mi corse per l'ossa e tutti i peli mi si cominciarono ad aricciare; e, perduta la voce, mi parve, se io avessi potuto, volere lui fuggire. [048]Ma, sì come sovente avviene a chi sogna, che li pare ne' maggiori bisogni per niuna condizione del mondo potersi muovere, così a me sognante parve avvenisse; e parvemi che le gambe mi fossero del tutto tolte, e divenire immobile. [049]E di tanto potere fu questa nuova paura, ch'io non so pensare qual cosa fosse quella che sì forte facesse il mio sonno ch'egli allora non si rompesse; e per questa téma, senza alcuna cosa rispondere o dire, stare mi parve: la qual cosa veggendo lo spirito, esso ridendo mi disse:

[050]"Non dubitare: parla sicuramente meco e della mia compagnia prendi fidanza; ché per certo io non sono venuto per nuocerti, ma per trarti di questo luogo, se fede intera presterai alle mie parole."

[051]Il che udendo io e tornandomi nella memoria quello che negli uomini possano gli spiriti mi rendero la sicurtà partita; e, verso lui alzando il viso, il pregai umilemente che di trarmene s'avacciasse, prima che altro pericolo ne sopravenisse; et egli allora disse:

[052]"Io non aspetto altro, a dover fare quello che domandi, che tempo; per ciò che tu dèi sapere che, quantunque l'entrare di questo luogo sia apertissimo a chi vuole entrarci con lascivia e con matteza, egli non è così agevole il riuscirne; ma è faticoso, e conviensi fare e con senno e con fortezza."[053]Le quali avere non si possono senza l'aiuto di Colui col volere del quale egli era quivi venuto.

[054]Allora mi parve che io dicessi:

"Poi che tempo n'è prestato di ragionare né sì sùbita può essere la nostra partita, se grave non ti fosse, volentieri d'alcune cose ti domanderei."

[055]Al quale esso benignamente rispuose:

"Sicuramente ciò che ti piace domanda, infino a tanto ch'io verrò a te domandare d'alcune cose, e alcune dirtene intorno a quelle."

[056]Io allora con voce assai esperta dissi:

"Due cose con pari desiderio mi stimolano, ciascuna ch'io prima di lei domandi; e per ciò in somma domanderò d'amendue: e priegoti che ti piaccia di dirmi che luogo questo sia e se a te per abitazione è stato dato o se, per se stesso, alcuno che c'entri ne può mai uscire: e appresso mi facci chiaro chi colui sia, col piacere del quale qui venisti ad atarmi."

[057]Alle quali parole esso rispuose:

"Questo luogo è da varii variamente chiamato; e ciascuno il chiama bene: alcuni il chiamano 'il laberinto d'Amore', altri 'la valle incantata', e assai 'il porcile di Venere', e molti 'la valle de' sospiri e della miseria'; e oltre a questi, chi in uno modo e chi in uno altro il chiamano, come meglio a ciascun pare. [058]Né a me per abitazione è dato; per ciò che da potere più in così fatta prigione intrare la morte mi tolse, alla quale tu corri. È il vero che men dura stanza che questa non ho, ma di meno pericolo; e dèi sapere che, chi per lo suo poco senno ci cade, mai, se lume celestiale non nel trae, uscir non ci può; e allora, com'io già ti dissi, con senno e con fortezza."

[059]Al quale io allora dissi:

"Deh, se Colui che può i tuoi più caldi disii ponga in pace, avanti che <a> altro da te si proceda, sodisfammi a una cosa. Tu di' che hai per abitazione luogo più duro che questo, ma meno pericoloso; e io già, per le tue parole medesime e per la mia ricordanza, conosco che tu al nostro mondo non vivi: quale luogo addunque possiedi tu? [060]Se' tu in quella prigione etterna nella quale, senza speranza di redenzione, e s'entra e si dimora? o se' in parte che, quando che sia, speranza vera ti prometta salute? Se tu se' nella prigione etterna, senza dubbio più dura dimora credo che vi sia che qui non è; ma come può ella essere con meno periglio? E, se tu se' in parte che ti prometta ancora riposo, come può ella essere <più dura> che questa non è?"

[061]"Io sono" rispuose lo spirito"in parte che mi promette sanza fallo salute. E in tanto è di minore periglio che questa, che quivi non si può peccare, per che a peggio temere si possa di pervenire; il che continuamente qui si fa. E tanto molti in ciò perseverano, faccendo che essi caggiono in quello carciere cieco nel quale mai il divino lume con grazia o con misericordia si vede, ma con inrevocabile e severa giustizia continuo, con grave danno di chi, sentendo, il conosce, si vede acceso."

[062]"Ma sanza dubbio la mia stanza, com'io già dissi, ha troppo più di dureza che questa: in tanto che, se lieta speranza, che certa di migliore vi si porta, non aiutasse e me e gli altri che vi sono a sostenere pazientemente la graveza di quella, quasi si porìa dire che gli spiriti, li quali sono immortali, ne morrebbono. [063]E, acciò che tu parte ne 'ntenda, sappi che questo mio vestimento, il quale t'ha, poscia che 'l vedesti, fatto maravigliare, per ciò che mai per avventura simile, quando io era tra voi, nol mi vedesti, e che solamente vi pare che a coloro che ad alcuno onore sono elevati, più che ad altrui, si convenga d'usare, non è panno manualmente tessuto, anzi è un fuoco dalla divina arte composto, sì fieramente cocente che 'l vostro è come ghiaccio, a rispetto di questo, freddissimo; e mugnemi sì e con tanta forza ogni umore da dosso che a niuno carbone o a niuna pietra divenuta calcina mai nelle vostre fornaci non fu così dal fuoco vostro munto: per che alla mia sete tutti i vostri fiumi insieme adunati e giù per la mia gola volgendosi sarebbono un piccol sorso. [064]E di ciò due cose mi son cagione: l'una è lo 'nsaziabile ardore ch'io ebbi de' danari, mentre io vissi; e l'altra è la sconvenevole pazienzia colla quale io comportai le scelerate e disoneste maniere di colei della qual tu vorresti d'avere veduta essere digiuno. E questo basti al presente d'avere ragionato della dureza del luogo della mia dimora; alla quale veramente quella noia che qui si sostiene, se non in tanto che questa è dannosa e quella è fruttuosa, non è da comparare."

[065]"Ma da sodisfare è alla tua seconda domanda, acciò che tu a' tuoi impauriti spiriti interamente restituisca le forze loro: e per ciò sappi che Colui, colla cui licenzia io sono qui venuto (anzi, a dir meglio, per lo cui comandamento), è quello infinito Bene che di tutte le cose fu creatore e per lo quale e al quale tutte le cose vivono; e al quale è del nostro bene, del nostro riposo, della nostra salute troppo maggiore sollecitudine che a noi stessi."

[066]Dico che, com'io queste parole dallo spirito udi', conoscendo il mio pericolo e la benignità del mandatore, io mi senti' venire nello animo una umiltà grandissima, la quale e l'alteza e la potenzia del mio Signore, la sua etterna stabilità e i suoi continui beneficii in me conoscer mi fece; e appresso la mia viltà, la mia fragilità e la mia ingratitudine; e le infinite offese già fatte verso Colui che ora nel mio bisogno, come sempre avea fatto, senza avere riguardo al mio malvagio operare, mi si mostrava pietoso e liberale. [067]Dalla qual conoscenza una contrizione sì grande e pentimento mi venne delle non ben fatte cose che non solamente mi parve che gli occhi di vere lagrime e assai si bagnassero, ma che il cuore, <non> altrimenti che faccia la neve al sole, in acqua si risolvesse; per che, sì per questo e sì ancora perché poverissimo di grazie a rendere a tanti e sì alti effetti mi sentiva, per lungo spazio mi tacqui, parendomi bene che lo spirito la cagione conoscesse; ma, poi che così alquanto stato fui, ricominciai a parlare:

[068]"O bene avventurato spirito, assai bene cognosco e discerno, la mia medesima coscienza ricercando, quello essere vero che tu ragioni: ciò Dio più caro avere che noi medesimi non abbiamo; li quali colle nostre malvagie opere continuamente ci andiamo sommergendo, dov' Elli colla sua caritativa pietà sempre ne va sollevando, e le sue etterne belleze mostrando e a quelle, come benignissimo padre, ne va chiamando; ma tuttavia, sì come colui che ancora la divina bontà, a guisa che le terrene operazioni <si> fanno, vo misurando, maraviglia mi porge, sentendomi io averlo offeso molto, come Esso ora ad aiutarmi si mosse."

[069]A cui lo spirito disse:

"Veramente tu parli come uomo che ancora non mostra conosca il costume della divina bontà e che è perfettissima, et estimi così nelle sue opere essercitarsi come voi, che mortali e mobili e imperfetti sete, fate; nelle menti de' quali niuno riposo si truova, infino a tanto che gran vendetta non si vede d'ogni piccola offesa ricevuta."

[070]"Ma, per ciò che la contrizione delle commesse colpe, la quale mi pare conoscere in te venuta, ti dimostra docile e attento dovere essere a' futuri ammaestramenti, mi piace una sola delle cagioni per la quale la divina bontà si mosse a dovere me mandare ad aiutarti ne' tuoi affanni. [071]Egli è il vero che (per quello ch'io sentissi nell'ora che questa commessione mi fu fatta: non da umana voce ma da angelica, la quale non si dee credere che menta già mai) che tu sempre, qual che stata si sia la tua vita, hai speziale riverenzia e devozione in Colei nel cui ventre si raccolse la nostra salute e che è viva fontana di misericordia e madre di grazia e di pietade; e in Lei, sì come in termine fisso, avesti sempre ferma speranza. [072]La qual cosa essendo a' suoi divini occhi manifesta e veggendoti in questa valle, oltre al modo usato, smarrito e impedito, in tanto che tu eri a te medesimo uscito di mente, sì come Essa benignissima fa sovente nelle bisogne de' suoi divoti, che, senza priego aspettare, da se medesima si muove a sovvenire dello opportuno aiuto al bisogno, veggendo il pericolo al qual tu eri, senza tua domanda aspettare, per te al Figliuolo domandò grazia e impetrò la salute tua; alla quale per suo messo mi fu comandato che io venissi; e io il feci; né prima da te mi partirò che in luogo libero ed espedito t'arò riposto, dove a te piaccia di seguitarmi."

[073]Al quale io dopo il suo tacere, dissi:

"Assai bene m'hai sodisfatto alle mie domande: e nel vero, come che vendetta da Dio è uno di nuovo rifarti bello per più piacerli, pur di te compassione mi viene e disidèro sommamente d'alleggiare quella, se mai con alcuna mia opera il potessi; e d'altra parte in me medesimo mi rallegro, sentendo che tu, non al ruinare allo 'nferno, ma al salire a grorioso regno sii, dopo la tua penitenzia disposto. [074]La benignità e la clemenzia di Colui, il quale t'ha in questa vicenda mandato, non m'è ora nuova: ella in molti altri pericoli già me l'ha fatta conoscere, quantunque io di tanti benefici ingrato stato sia, poco nelle sue laude adoperandomi; ma io divotamente Lui priego, che può quello che vuole, che, come dalla perpetua morte più volte m'ha tolto, così e i miei passi dirizi alla vita perpetua e quelli conservi tanto che io, suo fedelissimo servidore essendo, pervenga."

[075]"Ma per Lui ti priego che ancora, a una cosa rispondendomi, mi sodisfacci. In questa misera valle, la qual tu variamente nomini senza apropiarlene alcuno, abitac'egli alcuna persona, se quelli non fosser già li quali per aventura Amor della sua corte avendo sbanditi, qui li mandasse e in essilio, come a me pare essere stato da lui mandato; o posseggonla pur solamente le bestie le quali io ho udite tutta notte dintorno mughiare?"

[076]A cui egli sorridendo rispuose:

"Assai bene conosco che ancora il raggio della vera luce non è pervenuto al tuo intelletto e che tu quella cosa, la quale è infima miseria, come molti stolti fanno, estimi somma felicità, credendo che nel vostro concupiscibile e carnale amore sia alcuna parte di bene; e per ciò apri l'orecchie a quello che io ora ti dirò."

[077]"Questa misera valle è quella corte che tu chiami d'Amore; e quelle bestie, che udite hai e odi mughiare, sono i miseri, de' quali tu se' uno, dal fallace amore inretiti; le boci de' quali, in quanto di così fatto amore favellano, niuno altro suono hanno nell'orecchie de' discreti e ben disposti uomini che quello che mostra che venga alle tue; e però dianzi la chiamai 'laberinto', perché così in essa gli uomini, come in quello già faceano, senza sapere mai riuscire, s'aviluppano. Maravigliomi di te che ne domandi, con ciò sia cosa ch'io sappia che tu, non una volta ma molte già dimorato ci sii, quantunque forse non con quella graveza che ora ci dimori."

[078]Io, quasi di mia colpa compunto, riconoscendo la verità tocca da lui, quasi in me ritornato, rispuosi:

"Veramente ci son io altre volte assai stato: ma con più lieta fortuna, secondo il parere delle corporali menti; e di quinci, più per l'altrui grazia che per lo mio senno, in diversi modi or mi ricordo essere uscito; ma sì m'avea e il dolor sostenuto e la paura di me tratto, che così, come mai stato non ci fossi, d'esserci stato mi ricordava. E assai bene ora conosco, senza più aperta dimostrazione, che faccia li uomini divenire fiere e che voglia dire la salvaticheza del luogo e gli atri nomi da te mostratimi della valle, e il non vedere in essa né via né sentiero."

[079]"Omai addunque" disse lo spirito"poi che le tenebre alquanto ti si cominciano a partire dall'intelletto e già cessa la paura, nella quale io ti trovai, infino che 'l lume apparisca che la via da uscirci ti manifesti, d'alcuna cosa teco mi piace di ragionare; e, se la natura del luogo il patisse, io direi, in servigio di te, ché stanco ti veggio, che noi a sedere ci ponessimo; ma, perché qui far non si può, ragioniamo in piede. [080]Io so (e, se d'altra parte non sapessi, sì mel fecero poco avanti chiaro le tue parole, e ancora il luogo nel quale io t'ho trovato mel manifesta) che tu se' fieramente nelle branche d'amore inviluppato; né m'è più celato, che questo sia, chi di ciò t'è cagione; e tu il dèi nel mio ragionare avere compreso, se di ciò ti ricorda che io dianzi dissi di colei la qual tu vorresti d'aver veduta essere digiuno. [081]Ma, avanti che io più oltre vada, ti dico che io non voglio che tu da me prenda alcuna vergogna, perch'ella già più che 'l convenevole mi fosse cara; ma così sicuramente e con aperto viso di ciò con meco ragiona, come se sempre fossi stato di lei strano; e, per merito della compassione la quale io porto a' tuoi mali, ti priego che come tu ne' suoi lacci incappasti mi manifesti."

[082]Al quale io, cacciato via ogni rossore, rispuosi:

"Il priego tuo mi strigne a dirti quello ch'io mai, fuori che a un fidato compagno, non dissi e a lei sola per alcuna mia lettera fe' palese; né di ciò, dove pure la tua libertà non me ne assicurasse, da te mi dovrei, più che da un altro, vergognare, né tu turbartene: per ciò che, come tu dalla nostra vita ti dipartisti, secondo che l'ecclesiastiche leggi ne mostrano, quella ch'era stata tua donna non fu più tua donna, ma divenne liberamente sua; per che in niuno atto potresti con ragione dire che io mi fossi ingegnato di dovere alcuna tua cosa occupare."

[083]"Ma, lasciando ora questa disputazione, ché luogo non ci ha, stare, e venendo a quello aprirti che tu domandi, dico che per la mia disaventura, non sono molti mesi passati, avvenne che io con uno, al quale tu fosti già vicino e parente, di cui esprimere il nome or non bisogna, in ragionare di varie cose entrai. [084]E, mentre che noi così ragionando andavamo, acadde, come talvolta avviene che l'uomo d'uno ragionamento salta in uno altro, che noi, il primo lasciato, in sul ragionare delle belle donne venimo; e, prima avendo molte cose dette delle antiche, quale in magnanimità, quale in castità, quale in corporal forteza lodando, condiscendemo alle moderne: fra le quali il numero trovandone piccolissimo da commendare, pure esso, che in questa parte il ragionare prese, alcune ne nominò della nostra città; e, tra l'altre, nominò quella, che già fu tua, la quale io nel vero non conosceva. [085]Così non l'avessi io mai conosciuta poi! E di lei, non so da che affezione mosso, cominciò a dire mirabili cose, affermando che in magnificenzia mai non era stata alcuna sua pari; e, oltre al naturale delle femine, lei s'ingegnava di mostrare essere uno Alessandro e alcuna delle sue liberalità raccontando; le quali, per non consumare il tempo in novelle, non curo di raccontare. [086]Appresso, lei di così e di tanto buono senno naturale disse essere dotata quanta altra donna per avventura conosciuta già mai; e, oltre a ciò, eloquentissima, forse non meno che stato fosse qualunque ornato e pratico retorico, fu ancora; e, oltre a ciò, che sommamente mi piacque, sì come a colui ch'a quelle parole dava intera fede, la disse essere piacevole e graziosa e di tutti quelli costumi piena che in gran gentildonna si possano lodare e commendare. [087]Le quali cose narrando questo cotale, confesso che io meco tacitamente dicea: "O felice colui al quale la fortuna è tanto benigna ch'ella d'una così fatta donna li conceda l'amore!". E già quasi meco avendo diliberato di volere tentare se colui potessi essere che degno di quello divenissi, del nome di lei colui domandai e della sua gentileza e del luogo dov'ella a casa dimorasse; il quale quello non è dove tu la lasciasti; et esso ogni cosa pienamente mi fe' palese. [088]Per che poi, da lui dipartitomi, del tutto dispuosi di volerla vedere; e, se così perseverasse meco ciò che io di lei estimava, mettere ogni mia sollecitudine in fare ch'ella divenisse mia donna, come io suo servidore diverrei. [089]E, sanza dare alla bisogna alcuno indugio, in quella parte prestamente n'andai, dove a quella ora la credetti potere trovare e vedere; e sì mi fu in ciò la fortuna favorevole – la qual mai, se non in cosa che dannosa mi dovesse riuscire, non mi fu piacevole – che al mio avviso ottimamente rispuose l'effetto. [090]E dirotti maravigliosa cosa: che, non avendo io alcuno altro indizio di lei che solamente il color nero del vestimento, guardando tra molte che quivi n'erano in quello medesimo abito che ella, là dove io prima la vidi, come il suo viso corse agli occhi miei, subitamente avvisai lei dovere essere quella che io andava cercando. [091]E per ciò ch'io portai sempre opinione, e porto, che amore discoperto o sia pieno di mille noie o non possa ad alcuno desiderato effetto pervenire, avendo meco disposto del tutto di non cominciar questo con persona in guisa niuna a communicare, se con colui non fosse, al quale, poscia ch'io amico divenni, ogni mio secreto fu palese, non ardiva addomandar se ciò fosse, che mi pareva. [092]Ma ancora la fortuna, che in poche cose intorno a questo mio desiderio mi dovea giovare, come nella prima cosa m'era stata favorevole, così mi fu in questa seconda: ché, di dietro a me, senti' alcuna donna che colle sue compagne di lei favellava, dicendo:"Deh, guarda come alla cotal donna stanno bene le bende bianche e' panni neri". [093]La quale per avventura alcuna delle compagne, che non la conoscea, con tanto piacere di me, che alle loro parole teneva gli orecchi, che dir nol potrei, la dimandò: "Quale è dessa di quelle molte che colà sono?". A cui la domandata donna rispuose: "La terza, che siede in su quella panca, è colei di cui io vi parlo". [094]Dalla quale risposta io compresi ottimamente avere avisato; e da quella ora avanti l'ho conosciuta. Io non mentirò: come io vidi la sua statura e poi appresso alquanto al suo andare riguardai e un poco gli atti esteriori ebbi considerati, io presumetti, ma falsamente, non solamente che colui, al quale avea udito di lei parlare, dovesse avere detto il vero, ma che troppo più ch'egli detto non avea ne dovesse essere di bene. [095]E così, da falsa opinione vinto, subito mi senti', come se dall'udite cose e dalla vista di lei si movesse, corrermi al cuore un fuoco, non altrimenti che faccia su per le cose unte la fiamma, e sì fieramente riscaldarmi che, chi allora m'avesse riguardato nel viso, n'arebbe veduto manifesto segnale; e come che i segni venuti nel viso per lo nuovo fuoco (che, come prima le parti superficiali andò leccando, così poi, nelle intrinsece trapassato, più vivo divenne) se ne partissono, mai se non dentro crescer le sentii."

[096]"In questa guisa addunque, che raccontato ho, di lei, che mal per me fu veduta, preso fui, dandomi il suo aspetto pieno di falsità, non senza artificiale maestria, speranza di futura mercede."

[097]Lo spirito, il quale queste cose, secondo il mio parere, non senza diletto ascoltate avea, già me sentendo tacere, così mi cominciò a parlare:

"Assai bene m'hai dimostrato il come e la cagione del tuo esserti prima allacciato e come tu medesimo ti vestisti la catena alla gola, ch'ancor ti strigne. Ma non ti sia grave ancor manifestarmi se mai questo tuo amore le palesasti e come: ché mi parve dianzi udire di sì; e il dirmi appresso se da lei avesti alcuna speranza che più t'accendesse che 'l tuo medesimo desiderio primieramente avesse fatto."

[098]Al quale io rispuosi:

"Per ciò che io manifestamente conosco, se io celar tel volessi, io non potrei, sì mi piace che tu il vero senta de' fatti miei, donde che tu te l'abbi, niuna cosa te ne nasconderò. Egli è il vero che, avendo io data piena fede, come già dissi, alle parole udite da colui che lei tanto valorosa m'avea mostrata, io presi ardir di scriverle, mosso da cotale intenzione: [099]"Se costei è da quello che costui mi ragiona, aprendole io onestamente per una lettera il mio amore, l'una delle due cose ragionevolmente mi dee seguire: o ella l'arà caro, per usarlo in quello ch'io possa, e a ciò mi risponderà; o ella l'arà caro, ma, non volendolo usare, discretamente me dalla mia speranza rimoverà"."

[100]"Per che l'uno de' due fini aspettando, quantunque l'uno più che l'altro desiderassi, per una mia lettera, piena di quelle parole che più onestamente intorno a così fatta materia dir si possono, il mio ardente desiderio le feci sentire. [101]A questa lettera seguitò per risposta una sua piccola letteretta, nella quale, quantunque ella con aperte parole niuna cosa al mio amore rispondesse, pure, con parole assai zoticamente composte e che rimate pareano, e non erano rimate, sì come quelle che l'un piè avevano lunghissimo e l'altro corto, mostrava di disiderare di sapere chi io fossi. [102]E dirotti più: ch'ella in quella s'ingegnò di mostrare d'avere alcun sentimento d'una opinione filosofica, quantunque falsa sia, cioè che una anima d'uno uomo in uno altro trapassi: il che alle prediche, non in libro né in scuola, son certo ch'aprese; [103]e in quella, me a uno valente uomo assomigliando, mostrò di volere, lusingando, contentare: affermando appresso sommamente piacerle chi senno e prodeza e cortesia avesse in sé e con queste antica gentileza congiunta. [104]Per la quale lettera, anzi per lo stile del dettato della lettera, assai leggiermente compresi o colui, che di lei assai cose dette m'avea, esser di gran lunga del natural senno di lei e della ornata eloquenzia ingannato o averne voluto me ingannare."

[105]"Ma non pote' per ciò non che spegnere ma pure un poco il concetto fuoco diminuire; e avvisai che ciò che scritto m'avea niun'altra cosa volesse dire per ancora se non darmi ardire a più avanti scrivere e speranza di più particulare risposta che quella; e amaestramento e regola in quelle cose fare che per quella poteva comprendere che le piacessono. [106]Delle quali come ch'io fornito non mi sentissi, per ciò che né senno né prodeza né gentileza c'era (alla cortesia, quantunque il buono animo ci fosse, non ci avea di che farla), nondimeno, secondo la mia possibilità, a dovere fare ogni cosa, per la quale io la sua grazia meritassi, mi dispuosi del tutto. [107]E del piacere preso da me per la lettera ricevuta, per una altra lettera, com'io seppi il meglio, la feci certa; né poi senti', né per sua lettera né per ambasciata, quello che io, di ciò che scritto l'avea, le paresse."

[108]Allora lo spirito disse:

"Se più avanti in questo amore non è stato, che cagione t'induceva il dì trapassato, con tante lagrime, con tanto dolore, sì ferventemente per questo a disiderare di morire?"

[109]Al quale io rispuosi:

"Forse che il tacere sarebbe più onesto; ma, non potendolti negare, poi ne domandi, tel pur dirò. Due cose erano quelle che quasi ad estrema disposizione m'aveano condotto: l'una fu il ravvedermi che, là dov'io alcun sentimento aver credea, quasi una bestia senza intelletto m'avvidi ch'io era; e certo questo non è da turbarsene poco, avendo riguardo che io la maggiore parte della mia vita abbi spesa in dovere qualche cosa sapere, e poi, quando il bisogno viene, trovarmi non saper nulla; l'altra fu il modo tenuto da lei in far palese ad altrui che io di lei fossi innamorato; e in questo più volte crudele e pessima femina la chiamai."

[110]"Nella prima cosa mi trovai io in più modi stoltamente avere adoperato; e massimamente in credere troppo di leggieri così alte cose d'una femina, come colui raccontava, senza altro vederne; e appresso per quelle, senza vedere né dove né come, ne' lacciuoli d'amore incapestrarmi e nelle mani d'una femina dare legata la mia libertà e sottoposta la mia ragione; e l'anima, che, con questa accompagnata, solea essere donna, senza, essere divenuta vilissima serva: delle quali cose né tu né altri dirà che da dolersi non sia infin la morte."

[111]"Nella seconda essa ha, secondo che mi pare, in assai cose fallato e assai chiaramente mostro colui mentir per la gola, che sì ampiamente delle sue esimie virtù, meco parlando, <si> distese. [112]Per ciò che, secondo che a me pare avere compreso, uno, il quale, non perch'e' sia, ma perché li pare essere, i suoi vicini chiamano il secondo Ansalone, è da lei amato, al quale essa, per più farlisi cara, ha le mie lettere palesate e con lui insieme, a guisa d'uno beccone, schernito; senza che, colui, di me faccendo una favola, già con alcuno per lo modo che più gli è piaciuto n'ha parlato; [113]senza che, esso, come io son qui, per più largo spazio avere di favellare, fu colui che la risposta alla mia lettera, della quale davanti ti dissi, mi fece fare; e oltre a questo, secondo che i miei occhi medesimi m'hanno fatto vedere, m'ha ella, sogghignando, a più altre mostrato, come io aviso, dicendo: "Vedi tu quello scioccone? Egli è mio vago: vedi se io mi posso tenere beata!". [114]E certo quanto quelle donne, alle quali ella m'ha mostrato, sieno state e sieno oneste e io e altri il sappiamo: perché ella, sì come comprendere se ne dee, come il suo amante tra gli uomini, così ella tra le femine di me favoleggia. Ahi, disonesta cosa e sconvenevole, che uomo, lasciamo stare gentile, che non mi tengo, ma sempre mai con valenti uomini usato e cresciuto, e delle cose del mondo, avvegna che non pienamente, ma assai convenevolmente informato, sia da una femina a guisa d'un matto ora col muso ora col dito all'altre femine mostrato! [115]Io dirò il vero: questo m'indusse a tanta indignazione d'animo che io fui alcuna volta assai vicino ad usare parole che poco onore di lei sarebbono state; ma pure alcuna scintilletta di ragione, dimostrandomi che molto maggiore vergogna a me, ciò faccendo, acquisterei che a lei, da tale impresa, non poco ma molto turbato mi ritenne, e a quella ira e disordinato appetito, di che tu mi domandi, m'indusse."

[116]Lo spirito allora, nella vista mostrando d'avere assai bene le mie parole raccolte e la intenzione di quelle, seco non so che dicendo, alquanto, avanti che alcuna cosa che io intendessi dicesse, soprastette pensoso; poi, a me rivolto, con voce assai mansueta cominciò a parlare, dicendo:

[117]"E come tu t'innamorasti e di cui, e 'l perché e la cagione della tua disperazione assai bene mi credo dalle tue parole aver compreso. Ora voglio io che grave non ti sia se alquanto in servigio della tua medesima salute, e forse dell'altrui, io teco mi distendo a ragionare, primieramente da te cominciando, perché del tuo errore fosti tu stesso principio; e da questo verremo a dire di colei della quale tu, mal conoscendola, follemente t'innamorasti; e ultimamente, se tempo ne fia prestato, alcuna cosa diremo sopra le cagioni che te a tanto cruccio recarono che quasi te a te stesso feceno uscir di mente."

[118]"E, cominciando da quello che promesso abbiamo, dico che assai cagioni possono me e ogni altro giustamente muovere a doverti riprendere; ma, acciò che tutte non si vadano ricercando, per fare il ragionamento minore, due solamente m'agrada toccarne: l'una è la tua età, la seconda sono gli tuoi studii; delle quali ciascuna per sè, e amendue insieme, ti dovevano render cauto e guardingo dagli amorosi lacciuoli; [119]e primieramente la tua età: la quale, se le tempie già bianche e la canuta barba non mi ingannano, tu dovresti avere li costumi del mondo, fuor delle fascie già sono degli anni quaranta, e già venticinque cominciatili a conoscere. [120]E, se la lunga esperienza delle fatiche d'amore nella tua giovaneza tanto non t'avea gastigato che bastasse, la tiepideza degli anni, già alla vecchieza appressandoti, almeno ti dovea aprire gli occhi e farti conoscere là dove, questa matta passione seguitando, ti dovea far cadere; e, oltre a ciò, mostrarti quante e quali fossero le tue forze a rilevarti. [121]La qual cosa se con estimazione avessi riguardata, conosciuto avresti che dalle femine nelle amorose battaglie gli uomini giovani, non quelli che verso la vecchieza calano, sono richiesti; e avresti veduto le vane lusinghe, sommamente dalle femine desiderate, ne' giovani, non che ne' tuoi pari, star male. Come si conviene o si confà a te, oggimai maturo, il carolare, il cantare, il giostrare e l'armeggiare, cose di niuno peso, ma sommamente da loro gradite? Tu medesimo, non solamente dirai che a te sconvenevoli sieno, ma con ragioni inespugnabili biasimerai i giovani che le fanno."

[122]"Come è alla tua età convenevole l'andare di notte, il contrafarti, il nasconderti a ciascheduna ora che ad una femina e' piacerà; e non solamente in quella parte che forse, meno disdicevole, da te sarebbe eletta, ma in quelle che essa medesima, forse per gloriarsi d'avere uno uomo maturo a guisa d'un semplice garzone, disonesta e sconvenevole eleggerà? [123]Come alla tua età convenevole, se bisogno il richiedesse, del quale molto sovente sono pieni gli accidenti d'amore, di pigliare l'arme, e la tua salute, e forse quella della tua donna, difendere? [124]Certo io credo, senza più cose andar ricordando, che a tutte parimente risponderesti che male; e, quando ciò non ti paresse, a me e a ciascun altro, il quale con più discreto occhio guardasse che tu, impedito, per aventura fare non puoi, parrebbe pure che così fosse. Male è addunque la tua etade omai agl'innamoramenti decevole: alla quale non il seguire le passioni, o lasciarsi a loro sopravegnenti vincere, sta bene, ma il vincer quelle; e con opere virtuose, che la tua fama ampliassero, e con aperta fronte e lieta dare di sè ottimo esemplo a' più giovani s'appartiene."

[125]"Ma alla seconda parte è da venire; la quale ne' giovani, non che ne' vecchi, fa amore disdicevole, se io non m'inganno: cioè i tuoi studii. Tu, se io già bene intesi mentre vivea, e ora così essere il vero apertamente conosco, mai alcuna manuale arte non imparasti e sempre l'essere mercatante avesti in odio; di che più volte ti se' con altrui e teco medesimo gloriato, avendo riguardo al tuo ingegno, poco atto a quelle cose nelle quali assai invecchiano d'anni, e di senno ciascuno giorno diventano più giovani. [126]Della qual cosa il primo argomento è che a loro par più che a tutti gli altri sapere, come alquanto sono loro bene disposti i guadagni, secondo gli avisi fatti, o pure per avventura, come suole le più volte avvenire; là dove essi, del tutto ignoranti, niuna cosa più oltre sanno che quanti passi ha dal fondaco o dalla bottega alla lor casa; e par loro che ogni uomo, che di ciò gli volesse isgannare, avere vinto e confuso, quando dicono:"Di' che mi venga ad ingannare", o dicono:"All'uscio mi si pare", quasi in niun'altra cosa stia il sapere se non o in ingannare o in guadagnare."

[127]"Gli studii addunque alla sacra filosofia pertinenti, infino dalla tua puerizia, più assai che il tuo padre non arebbe voluto, ti piacquero, e massimamente in quella parte che a poesia appartiene; la quale per avventura tu hai, con più fervore d'animo che con alteza d'ingegno, seguita. Questa, non menoma tra l'altre scienzie, ti dovea parimente mostrare che è amore e che cosa le femine sono, e chi tu medesimo sii, e che a te s'appartiene. [128]Vedere addunque dovevi amore essere una passione accecatrice dello animo, disviatrice dello 'ngegno, ingrossatrice, anzi privatrice, della memoria, discipatrice delle terrene facultà, guastatrice delle forze del corpo, nemica della giovaneza, e della vecchieza morte; genitrice de' vizii e abitatrice de' vacui petti; cosa senza ragione e senza ordine e senza stabilità alcuna; vizio delle menti non sane e somergitrice della umana libertà."

[129]"O quante e quali cose sono queste da dovere, non che i savii, ma gli stolti spaventare! Vien teco medesimo rivolgendo l'antiche istorie e le cose moderne e guarda di quanti mali, di quanti incendii, di quante morti, di quanti disfacimenti, di quante ruine et esterminazioni questa dannevole passione è stata cagione! [130]E una gente di voi miseri mortali, tra i quali tu medesimo, avendo il conoscimento gittato via, il chiamate iddio, e quasi a sommo aiutatore ne' bisogni li fate sacrificio delle vostre menti e divotissime orazioni li porgete! La qual cosa quante volte tu hai già fatto o farai, tante ti ricordo, se da te, uscito forse del diritto sentimento, nol vedi tu che tu a Dio e a' tuoi studii e a te medesimo fai ingiuria. [131]E, se le dette cose esser vere la tua filosofia non ti mostrasse, né a memoria ti ritornasse la sperienza la quale di gran parte di quelle in te medesimo veduta hai, le dipinture degli antichi tel mosterranno, le quali lui per le mura, giovane, ignudo, con ali e con occhi velati e arciere, non sanza grandissima cagione e significazione de' suoi effetti, tutto 'l dì vi dimostrano."

[132]"Dovevanti, oltre a questo, li tuoi studii mostrare (e mostrarono, se tu l'avessi voluto vedere) che cose le femine sono; delle quali grandissima parte si chiamano e fanno chiamare donne, e pochissime se ne truovano."

[133]"La femina è animale imperfetto, passionato da mille passioni spiacevoli e abbominevoli pure a ricordarsene, non che a ragionarne: il che se gli uomini riguardassono, come dovessono, non altrimenti andrebbono a loro, né con altro diletto o apetito, che all'altre naturali e inevitabili oportune cose vadano; il luogo delle quali, posto giù il superfluo peso, come con istudioso passo fuggono, così loro fuggirebbono, quello avendo fatto per che la deficiente umana prole si ristora; sì come ancora in ciò tutti gli altri animali, molto meglio che gli uomini, fanno."

[134]"Niuno altro animale è meno netto di lei; non il porco, quale ora è più nel loto, agiugne alla brutteza di lei. E, se forse alcuno questo negasse, riguardinsi i parti loro, ricerchinsi i luoghi secreti dove esse, vergognandosene, nascondono gli orribili strumenti li quali a tor via i loro superflui umori adoperano. [135]Ma lasciamo stare quel che a questa parte appartiene; la quale esse ottimamente sappiendo, nel secreto loro hanno per bestia ciascuno uomo che l'ama, che le desidera o che le segue; e in sì fatta guisa ancora la sanno nascondere che da assai, stolti che solamente le croste di fuori riguardano, non è conosciuta né creduta; senza che, di quelli sono che, bene sappiendolo, ardiscono di dire ch'ella è lor pace, e che questo e quello farebbono e fanno; li quali per certo non sono da essere annoverati tra gli uomini."

[136]"E vegnamo all'altre loro cose o ad alcuna di quelle; per ciò che volere dire tutto non ne basterebbe l'anno, il quale è tosto per entrare nuovo. Esse, di malizia abbondanti, la qual mai non supplì, anzi sempre acrebbe difetto, considerata la loro bassa e infima condizione, con quella ogni sollecitudine pongono a farsi maggiori. [137]E primieramente alla libertà degli uomini tendono i lacciuoli, sé, oltre a quello che la natura ha loro di bellezza o d'apparenza prestato, con mille unguenti e colori dipignendo; e or con solfo e quando con acque lavorate e spessissimamente co' raggi del sole i capelli, neri dalla cotenna produtti, simiglianti a fila d'oro fanno le più divenire; e quelli ora in treccia di dietro alle reni ora sparti su per li omeri ora alla testa ravvolti, secondo che più vaghe parer credono, compongono; [138]e quinci con balli e talor con canti non sempre ma talor mostrandosi, i cattivelli, che attorno vanno, avendo nell'esca nascosto l'amo, prendono senza lasciare. E da questo quella e quell'altra e infinite di costui e di colui e di molti divengono mogli; e di troppa maggior quantità amiche."

[139]"E, parendo loro essere salite un alto grado, quantunque conoscano sé essere nate a esser serve, incontanente prendono speranza e aguzano i disideri alla signoria; e, faccendosi umili, obbedienti e blande, le corone, le cinture, i drappi ad oro, i vai, i molti vestimenti e gli altri ornamenti varii, de' quali tutto dì si vegon splendenti, dai miseri mariti impetrano; il quale non s'accorge tutte quelle essere armi a combattere la sua signoria e vincerla. [140]Le quali, poi che le loro persone e le loro camere, non altramenti che le reine abino, veggiono ornate e i miseri mariti allacciati, subitamente dall'essere serve divenute compagne, con ogni studio la loro signoria s'ingegnano d'occupare. [141]E, volendo singulare esperienza prendere, se donne sono nelle case, in sul far male arditamente si mettono argomentando che, se quello è a lei sofferto che non sarebbe sofferto alla serva, chiaramente può conoscere sé donna e signoreggiante."

[142]"E primieramente alle fogge nuove, alle leggiadrie non usate, anzi lascivie, e alle disdicevoli pompe si danno; e a niuna pare essere bella né raguardevole, se non tanto quanto ella ne' modi, nelle smancerie e ne' portamenti somigliano le piuviche meretrici; le quali tanti nuovi abiti né disonesti possono nella città arrecare, che loro tolti non sieno da quelle che gli stolti mariti credono esser pudiche; li quali, avendo male i loro danari spesi, acciò che gittati non paiano, queste cose nelle dette maniere lasciano usare, senza guardare in che segno debba ferire quello strale. [143]Come esse da questo fiere nelle case divengono, i miseri il sanno, che 'l pruovano: esse, sì come rapide e fameliche lupe, venute ad occupare i patrimoni, i beni e le riccheze de' mariti, or qua or là discorrendo, in continui romori co' servi, colle fanti, co' fattori, co' frategli e figliuoli de' mariti medesimi stanno, mostrando sé ténere riguardatrici di quelli, dove esse discipatrici desiderano d'essere; senza che, acciò che ténere paiano di coloro di cui esse hanno poca cura, mai ne' lor letti non si dorme: tutta la notte in letigi trapassa e in questioni, dicendo ciascuna al suo: [144]"Ben veggio come tu m'ami: ben sarei cieca se io non m'accorgessi che altri t'è all'animo più ch'io. Credi tu ch'i' sia abbagliata, e ch'io non sappia a cui tu vai dietro, a cui tu vuogli bene e a cui tu tutto 'l dì favelli? Ben so bene: io ho migliori spie che tu non credi. Misera me! ché è cotanto tempo ch'io ci venni, e pure una volta ancora non mi dicesti quando a letto mi vengo: 'Amor mio, ben sia venuta'. Ma, alla croce di Dio, io farò di quelle a te che tu fai a me. [145]Or son io così sparuta? Non son io così bella come la cotale? Ma sai che ti dico? chi due bocche bacia, l'una convien che li puta. Fatti in costà: se Dio m'aiuti, tu non mi toccherai: va' dietro a quelle di che tu se' degno; ché certo tu non eri degno d'avere me; e fai ben ritratto di quel che tu se'. [146]Ma a fare a far sia. Pensa che tu non mi ricogliesti del fango; e Dio il sa chenti e quali erano quelli che se l'arebbono tenuto in grazia d'avermi presa senza dote, e sarei stata donna e madonna d'ogni lor cosa: e a te diedi cotante centinaia di fiorini d'oro, né mai pur d'un bicchiere d'acqua non ci pote' esser donna, senza mille rimbrotti de' frateti e de' fanti tuoi: basterebbe s'io fossi la fante loro! E' fu bene la mia disaventura ch'io mai ti vidi: che fiaccar possa la coscia chi prima ne fece parola!". [147]E con queste e con molte simili e più altre assai più cocenti, senza niuna legittima o giusta cagione avere, tutta la notte tormentano i cattivelli: de' quali infiniti sono, che cacciano chi 'l padre, chi il figliuolo; chi da' fratelli si divide; e quali né la madre né 'l padre a casa si vogliono vedere; e lascia il campo solo alla vittrice donna. [148]Le quali, poi che espedita la possessione vegono, tutta la sollecitudine alle ruffiane e agli amanti si volge. E sieti manifesto che colei, che in questa moltitudine più casta e più onesta ti pare, vorrebbe avanti solo uno occhio avere che esser contenta solo d'uno uomo; e, se forse due o tre ne bastassero, sarie qualche cosa; e forse saria tolerabile se questi due o tre avanzassero i mariti, o fossero almen lor pari. [149]La loro lussuria è focosa e insaziabile; e per questo non patisce né numero né elezione: il fante, il lavoratore, il mugnaio, e ancora il nero etiopo, ciascuno è buono, sol che possa."

[150]"E sono certo che sarebbono di quelle che ardirebbono a negare questo, se l'uomo non sapesse già molte, non essendo i mariti presenti o quelli lasciati nel letto dormendo, esserne ne' lupanari pubblici andate con vestimenti mutati; e di quelli ultimamente essersi partite stanche ma non sazie. [151]E che cosa è egli ch'elle non ardiscano, per potere a questo bestiale loro appetito sodisfare? [152]Esse si mostrano timide e paurose; e, comandandolo il marito, quantunque la cagione fosse onesta, non sarrebbono in niuno luogo alto, ché dicono che vien meno loro il cerebro; non entrerebbono in mare, ché dicono che lo stomaco nol patiscie; non andrebbono di notte, ché dicono che temono gli spiriti, l'anime e le fantasime. Se sentono un topo andare per la casa e che 'l vento muova una finestra o che una piccola pietra caggia, tutte si riscuotono e fugge loro il sangue e la forza, come se a un mortale pericolo soprastessono."

[153]"Ma esse prestano fortissimi animi a quelle cose le quali esse vogliono disonestamente adoperare. Quante già su per le sommità delle case, de' palagi e delle torri andate sono, e vanno, da' loro amanti chiamate o aspettate? Quante già presummettero e presummono tutto il giorno o davanti agli occhi de' mariti sotto le ceste o nelle arche gli amanti nascondere? Quante nel letto medesimo farli tacitamente intrare? Quante, sole e di notte e per mezo gli armati e ancora per mare e per li cimiteri delle chiese, se ne truovano continuo dietro chi me' lavora? e, che maggior vituperio è, veggenti i mariti, ne sono assai che presummono fare i lor piaceri. [154]Oh quanti parti in quelle, che più temono o che più delli loro falli arrossano, innanzi al tempo periscono! Per questo la misera savina, più che gli altri alberi, si truova sempre pelata, quantunque esse a ciò abbiano argomenti infiniti. Quanti parti per questo, mal lor grado venuti a bene, nelle braccia della fortuna si gittano! riguardinsi gli spedali. Quanti ancora, prima che essi il maternale latte abbino preso, se n'uccidono! Quanti a' boschi, quanti alle fiere se ne concedono e agli uccelli! Tanti e in sì fatte maniere ne periscono che, bene ogni cosa considerata, il minore peccato in loro è l'avere l'appetito della lussuria seguito."

[155]"Et è questo esecrabile sesso femmineo, oltre ad ogni altra comparazione, sospettoso e iracundo. Niuna cosa si potrà con vicino, con parente o con amico trattare, che, se ad esse non è palese, che esse subitamente non suspichino contro a loro adoperarsi e in loro detrimento trattarsi; benché di ciò gli uomini non si debbono molto maravigliare, per ciò che naturale cosa è di quelle cose, che altri sempre opera in altrui, di quelle da altrui sempre temere; per questo sogliono i ladroni sapere ben riporre le cose loro. [156]Tutti i pensieri delle femine, tutto lo studio, tutte l'opere a niuna altra cosa tirano, se non a rubare, a signoreggiare e ad ingannare gli uomini; per che leggiermente credono sopra loro d'ogni cosa, che non sanno, simili trattati tenersi. [157]Da questo gli strolagi, li negromanti, le femine maliose, le 'ndovine sono da loro usitate, chiamate, aute care, e in tutte le loro oportunità, di niente servendo se non di favole, di quello de' mariti cattivelli sono abbondevolmente sovenute e sustentate, anzi arricchite; e, se da queste pienamente saper non possono la loro intenzione, ferocissime e con parole altiere e velenose s'ingegnano di certificarsi da' loro mariti; a' quali, quantunque il ver dicano, radissime volte credono."

[158]"Ma, sì come animale a ciò inchinevole, subitamente in sì fervente ira discorrono che le tigre, i leoni, i serpenti hanno più d'umanità, adirati, che non hanno le femine; le quali, chente che la cagione si sia per la quale accese in ira si sono, subitamente a' veleni, al fuoco, al ferro corrono. Quivi non amico, non parente, non fratello, non padre, non marito, non alcuno de' suoi amanti è risparmiato; e più sarebbe allora caro a ciascuna tutto 'l mondo, il cielo, Iddio e ciò ch'è di sopra e di sotto universalmente in un'ora potere confondere, guastare e tornare in nulla che, ad animo riposato, potere cento bagascioni al suo piacere adoperare. [159]Se 'l tempo mel concedesse l'andar narrando quanti mali, e come scelerati, le loro ire abbino già fatti, non dubito che tu non dicessi essere il maggiore miracolo, che mai veduto o udito fosse, che esse sieno sostenute da Dio."

[160]"E, oltre a ciò, è, questa empia generazione, avarissima: e, acciò che noi lasciamo stare lo 'mbolare continuo che a' mariti fanno e le ruberie a' lor pupilli figliuoli e le storsioni a quelli amanti che troppo non piacciono, che sono evidentissime e consuete cose, riguardisi a quanta viltà si sottomettono per ampliare un poco le dote loro. [161]Niuno vecchio bavoso, a cui colino gli occhi e triemino le mani e 'l capo, sarà cui elle rifiutino per marito, solamente che ricco il sentano, certissime infra poco tempo di rimanere vedove e che costui nel nido non dee loro soddisfare. [162]Né si vergognano le membra, i capelli e 'l viso, con cotanto studio fatti belli, le corone, le ghirlande leggiadre, i velluti, i drappi ad oro, e tanti ornamenti, tanti vezi, tante ciance, tanta morbideza sottomettere, porgere e lasciare trattare alle mani paraletiche, alla bocca sdentata e bavosa e fetida, ch'è molto peggio, di colui cui elle credono potere rubare. [163]Al quale se la già mancante natura concede figliuoli, sì n'ha; se non, non può perciò morire sanza erede. Altri vengono, che fanno il ventre gonfiare; e, se pure invetriato l'ha la natura fatto, i parti sottoposti gli danno figliuoli, acciò che vedova alle spese del pupillo possa più lungamente deliziosa vita menare. [164]Sole le 'ndovine, le lisciatrici, le mediche e' frugatori, che loro piacciono, le fanno, non cortesi, ma prodighe: in questi niuno riguardo, niuno risparmio né avarizia alcuna in loro si truova già mai."

[165]"Mobili tutte e senza alcuna stabilità sono: in una ora vogliono e svogliono una medesima cosa ben mille volte, salvo se di quelle, che a lussuria appartengono, non fossono; per ciò che quelle sempre le vogliono."

[166]"Sono generalmente tutte presuntuose; e a se medesime fanno credere che ogni cosa loro si convenga, ogni cosa stia loro bene, d'ogni onore, d'ogni grandeza sien degne; e che, senza loro, niuna cosa gli uomini vagliano, né viver possano; e sono ritros'e inobedienti."

[167]"Niuna cosa è più grave a comportare che una femina ricca; niuna più spiacevole che a vedere irritrosire una povera. Le cose loro imposte tanto fanno quanto elle credono per quello o ornamenti o abracciamenti guadagnare; da questo innanzi, sempre una redazione in servitudine l'essere obedienti si credono; e per questo, se non quanto loro dall'animo viene, niuna cosa imposta farebbono mai. [168]E oltre a ciò, che così in loro dimora come le macchie nello ermellino, non favellatrici ma seccatrici sono. I miseri studianti patiscono i freddi, i digiuni e le vigilie: e, dopo molti anni, si truovano poche cose avere apparate; queste, che pure una mattina, che tanto ch'una messa si dica, stieno alla chiesa, sanno come si volge il fermamento, quante stelle sieno in cielo e come grandi, qual sia il corso del sole e de' pianeti, come il tuono, il baleno, l'arco, la grandine e l'altre cose nello aere si creino; e come il mare c'intorni e come la terra produca i frutti. [169]Sanno ciò che si fa in India o in Ispagna; come sieno fatte le abitazioni degli Etiopi e dove nasca il Nilo; e se 'l cristallo s'ingenera sotto tramontana di ghiaccio o d'altra cosa; con cui dormì la vicina sua; di cui quella altra è gravida e di che mese dee partorire; e quanti amadori ha quell'altra e chi le mandò l'anello e chi la cintura; e quante uova faccia l'anno la gallina della vicina sua; e quante fusa logori a filare una dodicina di lino; e in brieve ciò che fecero mai i Troiani e' Greci o' Romani, di tutto pienamente tornano informate; e quelle colla fante, colla fornaia, colla lavandaia berlingano senza ristare, se altri non truovano che dia loro orecchie, forte turbandosi se alcuna loro riprovata ne fosse."

[170]"È il vero che da questa loro così sùbita sapienza e divinamente in loro spirata ne nascie una ottima dottrina nelle figliuole: a tutte insegnano rubare i mariti; come si debbiano ricevere lettere dagli amanti; come ad esse rispondere; in che guisa metterlisi in casa; che maniere debbano tenere ad infignersi d'essere malate, acciò che libero loro dal marito rimanga il letto; e molti altri mali. Folle è chi crede che niuna madre si diletti d'aver miglior figliuola di sé o più pudica. [171]E non nuoce che bisogna che per una bugia, per uno spergiuro, per una retà, per mille sospiri infinti, per cento milia false lagrime elle vadano a lor vicine, che, quando mestier lor fanno, le prestino loro: sallo Iddio, ch'io per me non seppi mai tanto pensare ch'io sapessi conoscere o discernere dove elle le si tengano, che sì pronte e sì preste ad ogni lor volontà, l'abbino, come hanno."

[172]"Bene è il vero ch'esse sono arrendevoli a lasciarsi provare il lor difetto, e spezialmente quello che altri cogli occhi suoi medesimi vede; e non hanno presto il:"Non fu così; tu menti per la gola; tu hai le traveggole; tu hai le cervella date a rinpedulare; bèi meno; tu non sai ove tu ti se'; se' tu in buon senno? tu farnetichi a santà e anfani a secco" e cotali altre lor parolette apuntate?"

[173]"E, se esse diranno d'avere un asino veduto volare, dopo molti argomenti in contrario converrà che si conceda del tutto; se non, le inimicizie mortali, le 'nsidie e gli odi saranno di presente in campo. E sono di tanta audacia che, chi punto il lor senno avviliscie, incontanente dicono: "Le Sibille non furono savie?", quasi ciascheduna di loro debba essere l'undecima. [174]Mirabile cosa pare che, in tante migliaia d'anni quante trascorse sono poi che 'l mondo fu fatto, intra tanta moltitudine quanta è stata quella del femineo sesso, esserne diece solamente trovate savie; e a ciascuna femina pare essere una di quelle, o degna tra quelle d'essere annoverata. [175]E, tra l'altre loro vanità, quando molto sopra gli uomini si vogliono levare, dicono che tutte le buone cose son femine: le stelle, le pianete, le Muse, le virtù, le riccheze: alle quali, se non che disonesto sarebbe, null'altro si vorrebbe rispondere se non: "Egli è così vero che tutte son femine, ma non pisciano"."

[176]"E, oltre a questo, assai sovente molto meno consideratamente si gloriano, dicendo che Colei, nel cui ventre si racchiuse l'unica e general salute di tutto l'universo, virgine inanzi il parto e che dopo il parto rimase virgine, con alquante altre (non molte però, della cui virtù spezial menzione e solennità fa la Chiesa di Dio) furono così femine come loro; e per questo immaginano dovere essere riguardate, argomentando niuna cosa contr'a loro potersi dire della loro viltà, che contro a Quella, che santissima cosa fu, non si dica; e quasi vogliono che lo scudo della loro difensione nelle braccia di Quella rimanga: che in niuna cosa la somigliano, se non in una. [177]Ma questo non è da dovere consentire; per ciò che quella unica Sposa dello Spirito Santo fu una cosa tanto pura, tanto virtuosa, tanto monda e piena di grazia e del tutto sì da ogni corporale e spiritual bruttura remota che, a rispetto dell'altre, quasi non dell'elementar composizione, ma d'una essenzia quinta fu formata a dovere essere abitacolo e ostello del Figliuolo di Dio; il quale, volendo per la nostra salute incarnare, per non venire ad abitare nel porcile delle femine moderne, ab ecterno se la preparò, sì come degna camera a tanto e cotale re. [178]E, se altro da questa vil turba essere stata separata non la mostrasse, li suoi costumi tutti, dalli loro spartiti, la mosterrebbono: e similmente la sua bellezza, la quale non artificiata, non dipinta né colorata fu; et è tanta che fa nel beato regno agli agnoli e a' beati spiriti, se dir si può, agiugnere gloria e maraviglioso diletto. [179]La quale, mentre qua giù fu nelle membra mortali, mai da alcuno non fu riguardata che il contrario non operasse di quello che le vane femine, dipignendosi, s'ingegnano di fare maggiore; per ciò che, dove questa di costoro il concupiscevole appetito a disonesto desiderio commuove e desta, così quella della Reina del cielo ogni villano pensiere, ogni disonesta volontà di coloro cacciava che la miravano; e d'un fuocoso e caritevole ardore di bene e virtuosamente adoperare sì maravigliosamente gli accendeva che, laudando divotamente Colui che creata l'avea, a mettere in opera il bene acceso desiderio si disponeano. [180]E di questo in Lei non vanagloria, non superbia venìa; ma in tanto la sua umiltà ne crescea che, per aventura, ebbe tanta forza che la incommutabile disposizione di Dio avacciò a mandare in terra il suo Figliuolo, del quale Ella fu madre. [181]L'altre poche, che a Questa reverendissima e veramente donna s'ingegnarono con tutta lor forza di somigliare, non solamente le mondane pompe non seguirono, ma le fuggirono con sommo studio; né si dipinsero per più belle apparere nel conspetto degli uomini strani, ma le bellezze, loro dalla natura prestate, si disprezarono, le celestiali aspettando. [182]In luogo d'ira e di superbia ebbero mansuetudine e umiltà; e la rabbiosa furia della carnale concupiscenza colla astinenzia mirabile domarono e vinsero, prestando maravigliosa pazienza alle temporali aversità e a' martìri. Delle quali cose servata l'anima loro immaculata, meritarono di divenire compagne a Colei nella etterna gloria, la quale s'erano ingegnate nella mortal vita di somigliare. [183]E, se onestamente si potesse accusare la natura, maestra delle cose, io direi che essa fieramente in così fatte donne peccato avesse, sottoponendo e nascondendo così grandi animi, così virili e costanti sotto così vili membra e sotto così vile sesso, come è il femineo; perché, bene ragguardando chi quelle furono e chi queste sono, che nel numero di quelle si vogliono mescolare e in quelle essere annoverate e reverite, assai bene si vedrà mal confarsi l'una coll'altra, anzi essere del tutto l'una contraria dell'altra."

[184]"Tacciasi addunque questa generazione prava e adultera né voglia il suo petto degli altrui meriti adornare; ché per certo le simili a quelle, che dette abbiamo, sono piú rade che le fenici; delle quali veramente se alcuna esce di schiera, tanto di piú onore è degna che alcuno uomo, quanto alla sua vittoria il miracolo è maggiore. Ma io non credo che in fatica d'onorarne alcuna per li suoi meriti a' nostri bisavoli, non che a noi, bisognasse d'entrare: e prima spero si troveranno de' cigni neri e de' corbi bianchi che a' nostri successori d'onorarne alcuna bisogni entrare in fatica; per ciò che l'orme di coloro, che la Reina degli angeli seguitarono, sono ricoperte, e le nostre femine, digradando, hanno il camino ismarrito, né vorrebbero già che fosse loro insegnato; e, se pure alcuno, predicando, se ne affatica, così alle sue parole gli orecchi chiudono come l'aspido al suono dello incantatore."

[185]"Ora io non t'ho detto quanto questa perversa moltitudine sia gulosa, ritrosa e ambiziosa, invidiosa, accidiosa, iracunda e delira; né quanto ella nel farsi servire sia imperiosa, noiosa, vezosa, stomacosa e importuna; e altre cose assai le quali, molto più e più spiacevoli che le narrate, se ne potrebbono contare; né intendo al presente dirleti, ché troppo sarebbe lunga la istoria. [186]Ma per quello, che detto t'ho, dèi tu assai ben comprendere chente esse universalmente sieno e in quanta cieca prigione caggia e dolorosa chi sotto lo 'mperio loro cade, per qual che si sia la cagione. [187]Pare essere a me molto certo che, se mai ad alcune perverrà all'orecchie la verità della loro malizia e de' loro difetti da me dimostrati, che esse incontanente, non a riconoscersi né a vergognarsi d'essere da altrui conosciute e ad ogni forza e 'ngegno di divenire migliori come dovrebbono, rifuggiranno; ma, come usate sono, pure al peggio andranno correndo; e diranno me queste cose dire, non come veritiero, ma come uomo al quale, per ciò ch'altra spezie piacque, esse dispiacquono. [188]Ma volesse Iddio che, non altramente che quello abominevole peccato mi piacque, esse mi fossero piaciute già mai: per ciò che io arei assai tempo acquistato di quello che io dietro ad esse perdei; e nel mondo là, dov'io sono, assai minore tormento sofferrei che quello ch'io sostengo."

[189]"Ma vegniamo ad altro. Dovevanti ancora gli studii tuoi dimostrare chi tu medesimo sii, quando il naturale conoscimento non te l'avesse mostrato, e ricordarti e dichiararti che tu se' uomo fatto alla imagine e alla similitudine di Dio, animale perfetto, nato a signoreggiare, e non ad essere signoreggiato. [190]La qual cosa nel nostro primo padre ottimamente dimostrò Colui, il quale poco davanti l'avea creato, mettendogli tutti gli altri animali dinanzi e faccendogli nomare e alla sua signoria sopponendoli; il simigliante appresso faccendo di quella una e sola femina ch'era al mondo; la cui gola e la cui disubidienzia e le cui persuasioni furono di tutte le nostre miserie cagione e origine. [191]Il quale ordine l'antichità ottimamente ancora serva al mondo presente ne' papati, negl'imperii, ne' reami e ne' principati, nelle provincie, ne' popoli e generalmente in tutt'i maestrati e sacerdozii e nell'altre maggioranze divine come umane: gli uomini solamente, e non le femine, preponendo e in loro commettendo il governo degli altri e di quelle. [192]La qual cosa come possente e quanto valido argomento sia a dimostrare quanto la nobiltà dell'uomo ecceda quella della femina e d'ogni altro animale assai leggiermente a chi ha sentimento puote apparere. [193]E non solamente da questo si può o dee pigliare che solamente ad alcuni eccellenti uomini così ampio privilegio di nobiltà sia conceduto; anche s'intenderà essere ancora de' più menomi, per rispetto alle femine e agli altri animali; per che ottimamente si comprenderà il più vile e 'l più minimo uomo del mondo, il quale del bene dello 'ntelletto privato non sia, prevalere a quella femina, in quanto femina, che temporalmente è tenuta più che niun'altra eccellente."

[194]"Nobilissima cosa addunque è l'uomo, il quale dal suo Creatore fu creato poco minore che gli angeli. E, se il minore uomo è da tanto, da quanto dovrà essere colui, la cui virtù ha fatto ch'egli dagli altri ad alcuna eccelenzia sia elevato? Da quanto dovrà essere colui il quale i sacri studii, la filosofia ha dalla meccanica turba separato? Del numero de' quali tu per tuo studio e per tuo ingegno, aiutandoti la grazia di Dio, la quale a niuno che se ne faccia degno, dimandandola, è negata, se' uscito e tra' maggiori divenuto degno di mescolarti. [195]Come non ti conosci tu? Come così t'avvilisci? Come t'hai tu così poco caro che tu ad una femina iniqua, insensatamente di lei credendo quello che mai non le piacque, ti vada a sottomettere? Io non me ne posso in tuo servigio racconsolare; e, quanto più vi penso, più ne divengo turbato. [196]A te s'appartiene, e so che tu 'l conosci, più d'usare i solitarii luoghi che le moltitudini, ne' templi e negli altri publici luoghi raccolte, visitare; e quivi stando, operando, versificando, essercitare lo 'ngegno e sforzarti di divenire migliore e d'ampliare a tuo podere, più con cose fatte che con parole, la fama tua; che, appresso quella salute ed etterno riposo il qual ciascuno che dirittamente desidera dee volere, è il fine della tua lunga sollecitudine."

[197]"Mentre che tu sarai ne' boschi e ne' remoti luoghi, le Ninfe Castalide, alle quali queste malvagie femine si vogliono assomigliare, non t'abbandoneranno già mai; la belleza delle quali, sì come io ho inteso, è celestiale: dalle quali, così belle, tu non se' schifato né schernito, ma è loro a grado il potere stare, andare e usare teco. [198]E, come tu medesimo sai, che molto meglio le conosci che io non fo, elle non ti metteranno in disputare o discutere quanta cenere si voglia a cuocere una matassa d'accia, e se il lino viterbese è più sottile che 'l romagnuolo; né che troppo abbia il forno la fornaia scaldato, e la fante lasciato meno il pane levitare; o che da provedere sia donde vegnano delle granate che la casa si spazi; non ti diranno quel ch'abbia fatto la notte passata monna cotale e monna altrettale, né quanti paternostri ell'abbia detti al predicare; né s'egli è il meglio alla cotale roba mutare le sale o lasciarle stare; non ti domanderanno danari né per liscio né per bossoli né per unguenti. [199]Esse con angelica voce ti narranno le cose dal principio del mondo state infino a questo giorno; e sopra l'erba e sopra i fiori alle dilettevoli ombre teco sedendo, a lato a quel fonte le cui ultime onde non si videro già mai, ti mostrerranno le cagioni de' variamenti de' tempi e delle fatiche del sole e di quelle della luna; e qual nascosa virtù le piante nutrichi, e insieme faccia li bruti animali amichevoli; e d'onde piovano l'anime negli uomini; e l'essere la divina bontà etterna e infinita; e per quali scale ad essa si salga, e per quali balzi si traripi alle parti contrarie; e teco, poi ch'e' versi d'Omero, di Virgilio e degli altri antichi valorosi aranno cantati, i tuoi medesimi, se tu vorrai, canteranno. La lor belleza non ti inciterà al disonesto fuoco, anzi il caccerà via; e i lor costumi ti fieno inreprobabile dottrina alle virtuose opere."

[200]"O che dunque, potendo così fatta compagnia avere, quando tu la vogli, e quanto tu la vogli, vai cercando sotto i mantelli delle vedove, anzi de' diavoli, dove leggiermente potresti trovare cosa che ti putirebbe? Ahi, quanto giustamente farebbono queste eloquentissime donne, se dal loro bellissimo coro te, sì come non degno, cacciassono, quante volte tu dietro alle femine l'appetito dirizi, quante volte, fetido e maculato da esse partendoti, tra loro, che purissime sono, ti vai a rimescolare, non vergognandoti della tua bestialità! [201]E certo, se tu non te ne rimani, e' mi pare avvedere che ti averrà e meritamente. Esse hanno bene il loro sdegno, così come queste altre che donne si chiamano, non essendo: e chente e quale vergogna questo ti sia, dove questo avenga, tu medesimo e pensare e conoscere il puoi."

[202]"Ma, per ciò ch'assai detto aver mi pare intorno a quello che a te apparteneva di considerare, quando follemente il collo sotto lo incomportabile giogo di colei sottomettesti, alla quale una gran salmista pare essere, acciò che tu non creda dall'altre lei devariare, oltre a quello ch'io ti promisi, ciò che tu non potevi ben per te medesimo vedere, intendo di dimostrarti particularmente chi sia colei e chenti i suoi costumi (di cui tu, follemente divenuto servidore, ora ti duoli), e vedrai dove e nelle cui mani il tuo peccato e la tua troppa sùbita credenza t'aveano condotto."

[203]"La prima notizia di questa femina di cui noi parliamo, la quale molto più dirittamente drago potrei chiamare, mi diedono le noze sue: per ciò che, essendo io per morte abbandonato da colei che prima a me era venuta e di cui io molto meno mi potea scontentare che di questa, non so se per lo mio peccato o per celeste forze che 'l si facesse, avvenne che, essendo e volere e piacere de' miei amici e parenti, a costei, mal da me conosciuta, fui ricongiunto. [204]La qual, già d'altro marito essendo stata moglie e assai bene già l'arte dello 'ngannare avendo appresa, non partendosi dal loro universal costume, in guisa d'una mansueta e semplice colomba entrò nelle case mie; e, acciò che io ogni particularità raccontando non vada, ella non vide prima tempo alle occulte insidie, e forse lungamente serbate, poter discoprire, ch'ella, di colomba, subitamente divenne serpente: di che io m'avidi la mia mansuetudine, troppo rimessamente usata, essere d'ogni mio male certissima cagione."

[205]"Io dirò il vero: io tentai alquanto di volere porre freno a questo indomito animale; ma perduta era ogni fatica, già tanto s'era il male radicato, che più tosto sostenere che medicare si potea. Per che, aveggendomi che ogni cosa, che intorno a ciò facea, non era altro che agiugnere legne al fuoco o olio gittare sopra le fiamme, piegai le spalle, nella fortuna e in Dio me e le mie cose rimettendo. [206]Costei addunque, con romori e con minaccie e con battere alcuna volta la mia famiglia, corsa la casa mia per sua e in quella fiera tiranna divenuta, quantunque assai leggier dote recata v'avesse, come io non pienamente a sua guisa alcuna cosa fatta o non fatta avessi, soprabbondante nel parlare e magnifica dimostrantesi, come se io stato fossi da Capalle ed ella della casa di Soave, così e la nobilità e la magnificienzia de' suoi mi cominciò a rimproverare, quasi come se a me non fosse noto chi essi furono, o sieno pure ora al presente; [207]bench'io sia certissimo che essa niuna cosa ne sa: altro ch'essa, come vana, credo che spesso vada gli scudi, che per le chiese sono appiccati, anoverando; e della vecchieza di quelli e della quantità argomenta sé essere nobile, poi tanti cavalieri sono suti tra' suoi passati e ancor più. [208]Ma, se per dieci cattivi della sua schiatta, più aventurata in crescere in numero d'uomini che in valore o in onore alcuno, fosse stato uno solo scudo apiccato e spiccatone uno di quelli per la cui cavalleria apiccati vi furono, a' quali ella così bene e così convenientemente stette come al porco la sella, non dubito punto che, dove degli scudi de' cattivi centinaia apparirebbono, niuno se ne vedrebbe de' cavalieri. [209]Estimano i bestiali, tra' quali ella è maggior bestia che uno leofante, che ne' vestimenti foderati di vaio e nella spada e nelli sproni dorati, le quali cose ogni piccolo artefice, ogni povero lavoratore leggiermente potrebbe avere, e un pezo di panno e uno scudicciuolo da fare alla sua fine nella chiesa apiccare, consista la cavalleria; la quale veramente consiste in quelli che oggi cavalieri si chiamano, e non in altro. [210]Ma quanto essi sieno dal vero lontani Colui il sa, che quelle cose, che a loro appartengono e per le quali ella fu creata, alle quali tutte essi sono più nimici che il diavolo delle croci, conosce."

[211]"Addunque con questa stolta maggioranza e arroganza incominciando, sperando io sempre, quantunque io avessi per lo meno male, sì come vile, giù l'armi poste, che essa alcuna volta riconoscer si dovesse e della presa tirannia rimuoversi, pervenne a tanto che sanza pro conobbi che, dov'io pace e tranquillità mi credea avere in casa recata, conoscendo che guerra, fuoco e mala ventura recata v'avea, cominciai a desiderare ch'ella ardesse; [212]e ciascuno luogo della nostra città, qual che si fosse più di litigi e di quistioni pieno, m'incominciò a parere più quieto e più riposato che la mia casa; e, così, veggendo venire la notte che al tornare mi vi constrignea, mi contristava, come se uno noioso prigioniere e possente e a dovere ad una prigione rincrescevole e oscura m'avesse constretto. [213]Costei addunque, donna divenuta del tutto e di me e delle mie cose, non secondo che la natura arebbe voluto al mio stato avendo rispetto, ma come il suo appetito disordinato richiedea, prima nel modo del vivere e nella quantità suo ordine puose; e il simigliante fece ne' suoi vestimenti, non quelli ch'io le facea, ma quelli che le piacevano faccendosi: e da qualunque d'alcuna mia possessione avea il governo essa convenia che la ragione rivedesse e' frutti prendesse e distribuisse secondo il parer suo; [214]e in somma ingiuria recandosi perché io così tosto, come ella arebbe voluto, d'alcuna quantità di danari, ch'io avea, mia tesoriera e guardiana non la feci, mille volte essere uomo senza fede, e massimamente verso di lei, mi rimproverò, insino a tanto che a quello pervenne ch'ella desiderava, sè d'altra parte di lealtà sopr'a Fabrizio e a qualunque altro leale uomo stato commendando."

[215]"E, a non volere ogni cosa distinguere e narrare, in cose infinite mi si puose al contrario né mai in tal battaglia, se non vincitore, puose giù l'arme. E io, misero e male in ciò aveduto, credendomi, sofferendo, diminuire l'angoscia e l'affanno, più tiepido che l'usato divenuto, seguiva il suo volere; la qual tiepideza il vestimento, che vermiglio mi vedi, come già dissi, ora con mia gravissima pena riscalda."

[216]"Ma più davanti è da procedere. In cotal maniera addunque essa donna e io servidore divenuto, con più ardita fronte, non veggendosi alcuna resistenzia, cominciò a mostrare e a mettere in opera l'alte virtù che il tuo amico tante di lei con cotanta solennità ti raccontò. Ma, non avendole egli bene per le mani, come ebbi io, mi piace con più ordine di contarleti."

[217]"E, acciò che io dalla sua principale cominci, affermo, per lo dolce mondo che io aspetto e se egli tosto mi sia conceduto, che nella nostra città né fu né è o sarà donna (o femina che vogliamo dire, ché diremo meglio), in cui tanta di vanità fosse che quella di colei, di cui parliamo, di grandissima lunga non l'avanzasse. [218]Per la qual cosa costei estimando che l'avere bene le gote gonfiate e vermiglie, e grosse e sospinte in fuori le natiche (avendo forse udito che queste sommamente piacciono in Alessandria, e perciò fossono grandissima parte di belleza in una donna), in niuna cosa studiava tanto quanto in fare che queste due cose in lei fossono vedute pienamente: nel quale studio queste cose pervenieno alle spese di me, che talor digiunava per risparmiare. [219]Primieramente, se grossi capponi si trovavano, de' quali ella molti con gran diligenzia faceva nutricare, convenia che innanzi tutti le venissono; e le pappardelle col formaggio parmigiano similemente: le quali non in iscodella ma in un catino, a guisa del porco, così bramosamente mangiava, come se pure allora per lungo digiuno fosse della Torre della fame uscita. [220]Le vitelle di latte, le starne, i fagiani, i tordi grassi, le tortole, le suppe lombarde, le lasagne maritate, le frittellette sambucate, i migliacci bianchi, i bramangieri, de' quali ella faceva non altre corpacciate che facciano di fichi o di ciriege o di poponi i villani quando ad essi s'avvengono, non curo di dirti. Le gelatine, la carne e ogn'altra cosa acetosa o agra, perché si dice che rasciugano, erano sue nimiche mortali. [221]Son certo che, s'io ti dicessi come ella era solenne bevitrice e investigatrice del buono vino cotto, della vernaccia da Corniglio, del greco o di qualunque altro vino morbido e acostante, tu nol mi crederesti, perché impossibile ti parrebbe a credere di Cinciglione. [222]Ma, se tu avessi un poco le sue gote vedute, quando vivea, e alquanto berlingare l'avessi udita, forse mi daresti leggiermente fede, tanto, senza le mie parole, pure per quelle di lei te ne parrebbe avere compreso. E pienamente di divenire paffuta e naticuta le venne fatto. [223]Non so io se ella per li molti digiuni fatti per la salute mia se l'ha smenomate dopo la mia morte: così te l'avess'ella in sul viso e io ti dovessi fare carta di ciò che tu vedessi, com'io nol credo."

[224]A questa parola dich'io che, con tutto il dolore e la compunzione ch'io sentia delle mie colpe, dinanzi agli occhi postemi dalle vere parole dello spirito, io non pote' le risa tenere. Ma egli, senza aspetto mutare, seguitò:

[225]"Né era la mia cara donna, anzi tua, anzi del diavolo, contenta d'aver carne assai solamente, ma le volea lucenti e chiare; come se una giovinetta di pregio fosse, alla quale, essendo per maritarsi, convenisse colla bellezza supplire la poca dota. [226]La qual cosa acciò ch'avenisse, appresso la cura del ben mangiare e del ben bere e del vestire, sommamente a distillare, a fare unzioni e trovar sangue di diversi animali et erbe e simili cose s'intendeva; e, senza che la casa mia era piena di fornelli e di lambecchi e di pentolini e d'ampolle e d'alberelli e di bossoli, io non avea in Firenze speziale alcuno vicino, né in contado alcuno ortolano, che infaccendato non fosse, quali a fare ariento solimato, a purgar verderame, a far mille lavature, e quali ad andare cavando e cercando radici salvatiche et erbe mai più non udite ricordare, se non a lei; e senza che, insino a' fornaciai a cuocere guscia d'uova, gromma di vino, marzacotto, e altre mille cose nuove n'erano impacciati. [227]Delle quali confezioni essa ugnendosi e dipignendosi, come sè a vendere dovesse andare, spesse volte avvenne che, non guardandomene io e basciandola, tutte le labbra m'invischiai; e meglio col naso quella biuta che con gli occhi sentendo, non che quello che nello stomaco era di cibo preso, ma appena gli spiriti ritenea nel petto."

[228]"Or s'io dicessi di quante maniere ranni il suo auricome capo si lavava, e di quante ceneri fatto, e alcuno più fresco e alcuno meno, tu ti maraviglieresti; e vie più, se io ti disegnassi quante e quali solennità si servavano nello andare alla stufa e come spesso: dalle quali io credea lei lavata dovere tornare, ed ella più unta ne venìa che non v'era ita. [229]Erano sommo suo desiderio e recreazione grandissima certe feminette, delle quali per la nostra città sono assai, che fanno gli scorticatoi alle femine, e pelando le ciglia e le fronti e col vetro sottigliando le gote e del collo assottigliando la buccia e certi peluzi levandone; né era mai che due o tre non se ne fossono con lei a stretto consiglio trovate, come che altri trattati spesse volte tenessono; [230]sì come quelle che, oltre a quella loro arte sotto titolo della quale baldanzose l'altrui case vicitassero e le donne, sono ottime sensali a fare che messer Maza rientri in Vallebruna, donde dopo molte lagrime era stato cacciato fuori. [231]Egli non si verrebbe a capo in otto dì di raccontare tutte le cose ch'ella a così fatto fine adoperava, tanta gloria di quella sua artificiata belleza, anzi spiacevoleza, pigliava: a conservazione della quale troppa maggiore industria s'adoperava; per ciò che il sole, l'aere, il dì, la notte, il sereno e 'l nuvolo, se molto non venieno a suo modo, fieramente l'offendeano; la polvere, il vento, il fummo avea ella in odio a spada tratta. [232]E quando i lavamenti erano finiti, se per sciagura le si ponea una mosca in sul viso, questo era sì grande scandelezo e sì grande turbazione che, a rispetto, fu a' cristiani perdere Acri un diletto. [233]E dirottene una pazia forse mai più non udita. Egli avvenne fra l'altre volte ch'una mosca in sul viso invetriato le si puose, avendo ella una nuova maniera di liscio adoperata; la quale essa, fieramente turbata, più volte s'ingegnò di ferire con mano; ma quella presta si levava, come tu sai ch'elle fanno, e ritornava; per che, non potendo ferirla, tutta accesa d'ira, presa una granata e per tutta la casa or qua or là discorendo, per ucciderla l'andò seguitando; e porto ferma opinione che, se alla fine uccisa non l'avesse, o quella o un'altra la quale avesse creduto essere quella, ella sarebbe di stizza e di veleno scoppiata. [234]Che pensi ch'avesse fatto, se alle mani le fosse venuto uno delli scudi di quelli suoi antichi cavalieri e una di quelle spade dorate? Per certo ella si sarebbe messa con lei alla schermaglia. [235]E che più? Questo avveniva il dì, che si poteva con meno noia sostenere; ma, se per forte disavventura una zenzara si fosse per la casa udita, che che ora si fosse stata di notte, convenia che 'l fante e la fante e tutta l'altra famiglia si levassi; e co' lumi in mano si metteano alla inchesta della malvagia e perfida zenzara, turbatrice del riposo e del buono e del pacefico stato della lisciata donna; e, avanti che a dormir si tornassono, convenia che morta o presa la presentassono davanti a colei che lei diceva in suo dispetto andare sufolando e appostando di guastare il suo bel viso amoroso. [236]Che più? Sopra tutte l'altre cose, a cui caluto non ne fosse era da ridere l'averla veduta quando s'acconciava la testa, con quanta arte, con quanta diligenza, con quanta cautela ciò si facesse: in quello per certo pendevano le leggi e' profeti. [237]Essa primieramente negli anni più giovani (quantunque più vicini a quaranta che a trenta fossono, posto che ella, forse non così buona abbachiera, li dicesse ventotto), fatti – lasciamo stare l'aprile e 'l maggio, ma il dicembre e il gennaio – di sei maniere d'erbette verdi o d'altrettante di fiori, donde ch'ella se li avesse, apparechiare, e, di quelle, certe sue ghirlanduze composte, levata per tempissimo e fatta la fante levare, poi che molto s'era il viso e la gola e 'l collo con diverse lavature strebiata e quelli vestimenti messi che più all'animo l'erano, a sedere postasi in alcuna parte della nostra camera, primieramente si mettea davanti un grande specchio e talor due, acciò che bene in quelli potesse di sé ogni parte vedere e conoscere qual di loro men che vera la sua forma mostrasse; e quivi dall'una delle parti si faceva la fante stare e dall'altra avea forse sei ampolluze e vetro sottile e orochico e così fatte bazicature. [238]E, poi che diligentemente fatta s'avea pettinare, ravvoltisi i capelli al capo, sopr'essi non so che viluppo di seta, il quale essa chiamava trecce, si poneva; e, quelle con una reticella di seta sottilissima fermate, fattosi l'acconce ghirlande e' fiori porgere, quelle primieramente in capo postesi, andando per tutto i fiori compartendo, così il capo se ne dipignea, come talvolta d'occhi la coda del pavone avea veduta dipinta; né niuno ne fermava che prima allo specchio non ne chiedesse consiglio."

[239]"Ma, poi che la età venne troppo parendosi e i capelli, che bianchi cominciarono a divenire, quantunque molti tutto 'l dì se ne facesse cavare, richiedeano i veli, come l'erba e' fiori solea prendere, così di quelli il grembo e il petto di spilletti s'empieva e collo aiuto della fante si cominciava a velare; alla quale, credo con mille rimbrotti, ogni volta dicea: [240]"Questo velo fu poco ingiallato; e questo altro pende troppo da questa parte; manda questo altro più giù; fa' stare più tirato quello, ché mi cuopre la fronte; lieva quello spilletto, che m'hai sotto l'orecchie posto, e ponlo più in là un poco; e fa' più stretta piega a quello che andare mi dee sotto 'l mento; togli quel vetro e levami quel peluzo ch'ho nella gota di sotto all'occhio manco". [241]Delle quali cose e di molte altre, che ella le comandava, se una sola meno che a suo modo n'avesse fatta, cento volte, cacciandola, la bestemmiava, dicendo: "Va' via; tu non se' da altro che da lavare scodelle; va' chiamami monna cotale". [242]La quale venuta, tutta in ordine si rimetteva; e dopo tutto questo, le dita colla lingua bagnatesi, a guisa che fa la gatta or qua or là si lisciava, or questo capello or quello nel suo luogo tornando; e di quinci forse cinquanta volte or dinanzi or da lato nello specchio si guardava e, quasi molto a se stessa piacesse, a pena da quello si sapea spiccare; e nondimeno si faceva alla sua buona donna riguardare; e con cautela la esaminava se bene stesse, se niuna cosa mancasse, non altrimenti che se la sua fama o la sua vita da quel dipendesse. E poi che molte volte avea udito ogni cosa star bene, alle compagne, che l'aspettavano, andava davanti, anche di ciò con loro riprendendo consiglio. [243]Ben so che alcuno dire potrebbe questa non essere cosa nuova, non che a lei ma nell'altre donne; e certo io non la dico per nuova, ma per viziosa e spiacevole e cattiva: e per mostrare ch'ella non è separata da' costumi dell'altre e perché più pronta fede sia data a quello che resultava di questi modi, quando tel dirò; che sarà tosto."

[244]"Chi della cagione di questo suo abellirsi con tanta sollecitudine domandata l'avesse, prestamente, sì come colei ch'è più ch'altra femina di malizia piena, rispondea che per più piacermi il facea; agiugnendo che, con tutto questo, non poteva ella tanto fare ch'ella mi piacesse, sì ch'io lei non lasciassi per ire dietro alle fanti e alle zambrache e alle vili e alle cattive femine. Ma di ciò mentia ella ben per la gola: ché né io andava dietro alle zambrache e a lei era assai poca cura di dovermi piacere. [245]Anzi, sì com'io molte volte m'accorsi, a qualunque giovane, o qualunque altro che punto d'aspetto avesse piacevole, che dinanzi alla casa passasse o dov'ella fosse, non altrimenti il falcone, tratto di cappello, si rifà tutto e sopra sé torna, che faceva ella, sommamente desiderosa d'essere guardata; e così si turbava in se medesima, se altro passato fosse che non l'avesse guatata, come se una grave ingiuria avesse ricevuta. [246]E, se alcuno per aventura, avendola riguardata, la sua belleza commendata avesse e da lei fosse stato udito, questa era sì gran festa e sì grande allegreza che niun'altra mai a questa ne fu simigliante; né l'arebbe quel cotale alcuna cosa adomandata, ch'essa non l'avesse, potendo, fatta più che volentieri e tosto; e così, per contrario, colui, che biasimata l'avesse, l'arebbe volentieri colle proprie mani ucciso. [247]Canzoni, suoni e mattinate e simili cose, più che altra, volentieri ascoltava; e sommamente avea astio di qualunque fosse colei alla quale, o per amore della quale, fossero state cantate o fatte, sì come quella che di tutte arebbe voluto il titolo, parendole di quello e d'ogni altra cosa molto più che alcuna altra esser degna."

[248]"E, acciò che io ora di questa materia più non dica, dico che questi sono gli ornati e laudevoli costumi e il gran senno e la maravigliosa eloquenzia che di costei il tuo amico, male consapevole del fatto, ti ragionava; questa era la gran costanzia, la somma forteza dell'animo di costei; questo era il grande studio e la sollecitudine continua, la quale ella avea alle cose oneste, come avere debbono quelle donne le quali gentili sono, come ella vuole essere tenuta, e per la qual meritamente tra le valorose antiche, di loro parlando, dee esser ricordata. [249]Della sua magnificenzia, nella quale ad Alessandro ti fu asomigliata, non dopo molte parole udirai alquanto. Essa, con questa sua vanità e con questa esquisita leggiadria (se leggiadria chiamar si dee il vestirsi a guisa di giocolari e ornarsi come quelle che ad infiniti hanno per alcuno spazio a piacere sé concedendo per ogni prezo) e con l'essere degli occhi cortese e più parlante che alla gravità donnesca non si richiedea, molti amanti s'avea acquistati; de' quali non avvenne come di chi corre al palio, il quale ha l'uno de' molti; anzi de' molti pervennono molti al termine disiato, sì come essa procacciava. [250]Alla cui focosa lussuria non che io bastassi solo, o uno amante o due, oltre a me, ma molti ad attutarne una sola favilluza non erano sufficenti: della qual parlato non t'ho, né intendo distesamente parlare, per ciò che contraria medicina sarebbe alla infermità la quale io sono venuto a curare; conoscendo io che tanto, quanto coloro, che l'amistà delle femine desiderano, più focose le sentono, più di speranza prendono e per consequente più di nutrimento agiugnono al loro amore."

[251]"Sommariamente addunque di questa parte toccandoti, ti dico che, come ch'io già ne sospicciassi, ora ne son certissimo che tal cavaliere è per lo mondo, per lo passato più animoso che aventurato, del quale essa innamoratasi, assai volte già seppe come pesava; e, senza al suo o al mio onore avendo riguardo niuno, così la sua dimesticheza usava, come il mio marital debito: non solamente il se medesima concedendoli le bastava, ma essa, come l'amico tuo ti disse ch'era magnifica, per magnifica dimostrarsi, non del suo ma del mio, una volta e altra e poscia più, quando per uno cavallo, quando per una roba, e talvolta fu in grandissima nicessità di lui, di buona quantità di danari il sovvenne: sì che, dove tesoriera avere mi credea, donatrice, scialacquatrice e guastatrice avea. [252]Né ancora bastandole il mio dovuto amore, né quello ch'essa a suo piacere scelto s'avea, ancora aggiunse a sodisfare i suoi focosi appetiti tal vicino ebb'io, al quale io più d'amore portava che egli a me d'onore. E, come che io e ciascuno di questi, otta per vicenda, acqua rifrigeratoria sopra le sue fiamme versassero, nondimeno con alcuno suo congiunto con più stretto parentado si ricongiunse; e di più altri, i quali ella provare volle come arme portassono o sapessono nella chintana ferire, parendomene avere detto assai, giudico che sia da tacere."

[253]"In queste così fatte cose porgendo a ciascuno mano, donando a ruffiane, spendendo in cose ghiotte e in lisci, usava la tua nuova donna la magnificienzia egregia, dal tuo amico dàtati a divedere. Delle cui alte virtù splendide e singulari volendo, secondo il preso stile, avanti procedere, una via e due servigi farò: per ciò che, mentre ti racconterò quelle, ti mosterrò come intender si dee, e come ella intende, ciò che, nella lettera a te mandata da lei, scrive che le piace; forse da te non tanto bene inteso."

[254]"L'ordine richiedea a dovere della sua cortesia dire: la quale ella dalla magnificenzia distingue, per ciò che la magnificenzia intende che s'usi nelle cose donandole o gittandole via; la cortesia intende di se medesima usarsi, quando liberamente di sì dice a chi la richiede d'amore: della qual cosa per certo ella è stata non cortese ma cortesissima, pure che sia stato chi ardire abia avuto di domandare; de' quali assai sono suti che, quantunque ella nello aspetto sia paruta molto imperiosa, non si sono però peritati; e bene n'è loro avvenuto: dico avendo rispetto al loro appetito, al quale, per merito della richiesta, prestamente è seguito l'effetto. [255]E perciò meritamente dice piacerle la cortesia: sì come colei che, mentre da dovere essere richiesta è stata, mai disdir nol seppe, così, omai che in tempo viene che a lei converrà richiedere, niuno vorrebbe che 'l disdicesse. E veramente di te io mi maraviglio come ti sia stato disdetto quello che più a niuno fu già mai; né altro ne so vedere, se non ch'io estimo che Dio t'ami, quello negare faccendoti che tu, essendone stato pregato, dovevi come lo 'nferno fuggire. E perciò, se altra cortesia avessi, la sua lettera leggendo, intesa, abbi testé inteso di qual si parla. [256]Savissima donna per certo è questa tua; e per ciò che ogni simile suo simile appetisce, dèi tu avere assai per constante le savie persone, come ella ti scrive, gradirle. Ma, come tu sai, diverse sono le cose per le quali gli uomini e ogn'altra persona generalmente sono savi chiamati. [257]Alcuni sono savi chiamati, per ciò che ottimamente la scrittura di Dio intendono e sannola altrui mostrare; altri, per ciò che intorno alle questioni civili et ecclesiastiche, sì come molto in legge e in decretali amaestrati, sanno ottimamente consigli donare; altri, per ciò che nel governo della republica sono pratichi e le cose nocive sanno schifare e seguire l'utili, quando il bisogno viene; et alcuni sono savi tenuti, però che sanno bene guidare i fondachi, le loro mercatanzie e arti e' lor fatti di casa, e secondo i mutamenti de' tempi sanno temporeggiare. [258]De' quali modi e d'altri assai, che laudevoli contar si potrebbono, io non vorrei che tu intendessi lei esser savia; per ciò ch'ella non cura di divina scrittura né di filosofica, né di legge né di statuto o di reggimento publico o privato né di così fatte cose; per ciò che, se così intendessi, non intenderesti bene il senno di che ti scrive che si diletta. [259]Egli c'è un'altra maniera di savia gente, la quale forse tu non udisti mai in scuola tra la filosofica gente ricordare, la quale si chiama la cianghellina. Sì come da Socrate coloro, che la sua dottrina seguirono, furono chiamati socratici e quelli, che quella di Platone, platonici, ha questo nome preso la nuova setta da una gran valente donna, la quale tu molte volte puoi avere udita ricordare, che fu chiamata madonna Cianghella; [260]cui sentenzia, dopo lunga e seriosa disputazione, fu nel concilio delle donne discrete e per conclusione posto: che tutte quelle donne, che hanno ardire e cuore e sanno modo trovare d'essere tante volte e con tanti uomini con quanti il loro appetito concupiscibile richiedea, erano da essere chiamate savie; e tutte l'altre decime o moccicose. [261]Questo è addunque quel senno il quale le piace e aggrada; col quale ella con lunghe vigilie molti anni ha studiato et ènne, oltre ad ogni Sibilla, savia divenuta e maestra: in tanto che tra lei e alcune sue consorte s'è assai volte disputato chi più degnamente, poi che monna Cianghella più non vive né monna Diana, ch'a lei succedette, debbia la catedra tenere nella loro scuola. [262]Questo è quel senno, nel quale ella vorrebbe ciascuna donna o uomo essere savio o appararlo; e perciò sgànnati, se male avessi inteso; e ch'ella sia savia credi sicuramente all'amico tuo."

[263]"Parmi essere certo che, come nelle due già dette cose perversamente intendevi, così similemente nella terza sii caduto in errore. Di' ch'ella sempre s'è dilettata oltremodo di vedere gli uomini pieni di prodeza e di gagliardia; e credo che tu credevi ch'ella volesse o disiderasse o le piacesse di vedere gli uomini pro' e gagliardi, colle lance ferrate giostrando, o nelle sanguinose battaglie tra mille pericoli mortali o combattendo le città e le castella o colle spade in mano insieme uccidersi. [264]Non è così: non è costei così crudele né così perfida, come mostra che tu creda, ch'ella voglia bene agli uomini perché s'uccidano. E che farebbe ella del sangue che, morendo l'uomo, vermiglio si versa? La sua sete è del digesto che i vivi e sani possono, senza riaverlo, prestare. Quella prodeza addunque, che le piace, niuno la sa meglio di me. Ella non s'usa nelle piaze né ne' campi né su per le mura né con coraze indosso né con bacinetti in testa né con alcuno offendevole ferro: ella s'usa nelle camere, ne' nascosi luoghi, ne' letti e negli altri simili luoghi acconci a ciò, dove, senza corso di cavallo o suono di tromba di rame, alle giostre si va a pian passo; e colui tiene ella che sia o vuogli Lancelotto, o vuogli Tristano, Orlando o Ulivieri di prodeza, la cui lancia, per sei o per otto o per dieci aringhi, la notte non si piega in guisa che poi non si dirizi. [265]Questi così fatti, se eglino avessono già il viso fatto come il saracino della piaza, ama ella sopra ogn'altra cosa; e questi cotali sommamente commenda e oltremodo le piacciono. Per che, se gli anni non t'hanno tolta l'usata virtù, non ti dovevi per prodeza disperare di piacerle, come facesti, credendo tu ch'ella volesse che tu fossi l'Amaroldo d'Irlanda."

[266]"Della sua gentileza già in parte parlato ho, la quale ella dice che antica le piace: in che io t'acerto che, come che nelle precedenti cose assai bene e vero, secondo le dimostrazioni fatte, ella abbia il suo piacere dimostrato, in quello ella non sa che si dire, sì come colei che niuno sentimento ha di gentileza: che cosa si sia né donde proceda né di chi dir si debba gentile né chi no; se non ch'ella ha in ciò voluto mostrare ch'ella sia gentile ella; e però, come gentile, ama e disidera le cose gentili; [267]et è tanta la sua vanagloria e pompa che ella fa di questa sua gentileza, che in verità a quelli di Baviera o a' reali di Francia o qualunque altri, se altri ne sono antichi e le cui opere sieno state gloriose, sarebbe soperchio. Ma ben doveva, s'ella voleva mostrare che l'antica gentileza le piaccia, sé antica gentildonna mostrare; de' quali l'uno senza parole ella potrà oggimai tosto col viso mostrare, cioè che antica sia; o donna o gentil non cred'io ch'ella potesse mostrare mai."

[268]"Scriveti che le piacciono i grandi favellatori, con ciò sia cosa ch'ella di favellare ogn'altra persona avanzi e trapassi; e dicoti che 'l suo cinguettare è tanto che, solo, troppo più aiuterebbe alla luna sostenere le sue fatiche che non facevano tutti insieme i bacini degli antichi; e lasciamo stare l'alte e grandi millanterie ch'ella fa, quando berlinga coll'altre femine, dicendo:"Quelli di casa mia e gli antichi miei e' miei consorti", ché le pare troppo bella cosa a dire; e tutta gongola, quando si vede bene ascoltare e odesi dire: "Monna cotale de' cotali" e vedesi cerchio fare. [269]Ma ella in brevissimo spazio di tempo ti dirà ciò che si fa in Francia e ordina il Re d'Inghilterra; se i Ciciliani avranno buona ricolta o no; se i Genovesi o' Vineziani recheranno spezeria di Levante e quanta; se la reina Giovanna giacque la notte passata col re; quello che i Fiorentini dispongano dello stato della città (benché questo le potrebbe essere assai agevole, se con alcuno de' reggenti si stropicciasse: li quali, non altrimenti che 'l paniere o il vaglio l'acqua, tengono i sagreti de' petti loro); e tante altre cose, oltre a queste, dirà, che maravigliosa cosa è a pensare donde tanta lena le venga."

[270]"E per certo, se quello è vero, che questi fisici dicono, che quello membro, il quale l'animale bruto e l'uccello e 'l pesce più esercita, sia più piacevole al gusto e più sano allo stomaco, niuno boccone deve mai essere più saporito né migliore che la lingua di lei, la quale mai di ciarlare non ristà, mai non molla, mai non fina: dalle dalle dalle, dalla mattina insino alla sera; e la notte, io dico, dormendo, non sa ristare. [271]E chi non la conoscesse, udendola della sua onestà, della sua divozione, della sua santità e di quelli di casa sua favellare, crederebbe per certo lei essere una santa, e di legnaggio reale; e così in contrario, a chi la conoscesse, l'udirla la seconda volta, e talora la prima, è un fargli venir voglia di recere l'anima. [272]E 'l non consentirle le favole e le bugie sue, delle quali ella è più ch'altra femina piena, niuna cosa sarebbe se non un volersi con lei azuffare; la qual cosa ella di leggieri farebbe, sì come colei alla qual pare di gagliardia avanzare Galeotto delle lontane Isole o Febus. E già assai volte, millantandosi, ha detto che se uomo stata fosse, l'arebbe dato il cuore d'avanzare di forteza, non che Marco Bello, ma il bel Gherardino che combatté con l'orsa."

[273]"Perchè mi vo io in più parole stendendo? Se io volessi ogni cosa contare, o pure le più notabili de' suoi fatti, e' non ci basterebbe il tempo. E, se tu così hai lo 'ngegno acuto, come io credo, assai pur per le udite puoi comprendere quanti e quali sieno i suoi costumi; e in che le sue gran virtù e la magnificenza e 'l senno e l'altre cose consistano; e che cose sieno quelle virtuose che le dilettano."

[274]"Per che, senza più dire di quelle, tornando a ragionare di quello che tu non puoi avere saputo e di che per aventura teco stesso fai una grande stima, cioè dell'occulte parti ricoperte da' vestimenti, le quali per tua buona ventura mai non ti si palesarono (così non si fossero elle mai a me palesate!), voglio che l'ascoltarmi non ti rincresca."

[275]"Ma io, prima che più avanti dica, ti voglio trarre d'un pensiero, il quale forse avuto hai o avere potresti nell'animo, solvendoti una oggezione che fare potresti. Tu forse hai teco medesimo detto o potresti dire: "Che cose sono quelle di che costui parla; chente il modo, chenti sono i vocaboli; o convengons'elle a niuno, non che a uomo onesto e il quale ha li passi diritti verso l'etterna gloria?". Alla quale opposizione, non volendo andare sofisticando, non è che una risposta: la qual son certo che in te medesimo consentirai che sia non solamente buona, ma ottima. [276]Dèi dunque sapere né ogni infermità né ogni infermo potere essere sempre dal discreto medico con odoriferi unguenti medicato; per ciò che assai sono e di quelli e di quelle che nol patiscono e che richeggiono cose fetide, se a salute si vorranno conducere; [277]e <se> alcuna n'è che con cotali argomenti e vocaboli e con dimostrazioni puzolenti purgare e guarire si vogliono, il mal concetto amore dell'uomo è una di quelle: per ciò che più una fetida parola nello intelletto sdegnoso adopera in una piccola ora, che mille piacevoli e oneste persuasioni, per l'orecchie versate nel sordo cuore, non faranno in gran tempo. E, se niuno mai màrtiro fu di questa nocenzia putrida e villana, tu se' senza niuno dubbio desso. [278]Per che io, il quale, sì come Altri ha voluto, qui venuto sono per la tua salute, non avendo il tempo molto lungo, ai più pronti rimedi sono ricorso e ricorro; e perciò ad adolcire il tuo disordinato appetito, alcuna cosa, come udito hai, parlar mi conviene, e ancor più largo. [279]Per ciò che queste parole così dette sono <le tenaglie con le quali si convengono rompere e tagliare le dure catene che qui t'hanno tirato; queste parole così dette sono> i ronconi e le scuri colle quali si tagliano i velenosi sterpi, le spine e' pruni e gli sconvolti bronchi, che, a non lasciarti la via da uscirci vedere, davanti ti sono asiepati; queste parole così dette sono i martelli, i picconi, i bolcioni, i quali gli alti monti, le dure rocche, gli strabocchevoli balzi conviene che rompano e la via ti facciano, per la quale da tanto male, da tanta ingiuria, da tanto soperchio, da tanto pericolo e di luogo così mortale, come è questa valle, senza impedimento ti possi partire."

[280]"Sostieni adunque pazientemente d'udirle; né paia alla tua onestà grave, né estimare quello essere colpa, difetto o disonestà del medico, di che la tua pestilenziosa infermità è cagione. Imagina queste mie parole, così sucide e così stomacose a udire, essere quello beveragio amaro il quale, per l'avere tu troppo assentito alle cose dilettevoli e piacevoli al tuo gusto, il discreto medico già nelle tue corporali infermità t'ha donato; e pensa, se, per sanare i corruttibili corpi, quelle amare cose non solamente si sostengono, ma vi si fa di volontà incontro lo 'nfermo, quanta e quale amaritudine si dee per guarire l'anima, che è cosa etterna, sostenere. [281]Io mi credo assai bene doverti avere sodisfatto a ciò, che ti potesse aver messo in dubbio, o per lo futuro potrebbe, del modo o de' vocaboli del mio parlare. E perciò, tornando ad proposito e volendo di questa donna, nuova posseditrice dell'anima tua divenuta, partitamente parlare, alquanto di quelle dirò che a te non poterono essere note né per veduta né per imaginazione, per ciò che fuggito l'hai."

[282]"Primieramente mi piace di quella bellezza incominciare, la qual tanto le sue arti valsono che te non solamente ma molti altri, che meno di te erano presi, abbagliò e di sé mise in falsa opinione: cioè della frescheza della carne del viso suo. La quale, essendo artificiata e simile alle matutine rose parendo, con teco molti altri naturale estimaro: la quale se a te e agli altri stolti, come a me, possibile fosse stato d'avere, quando la mattina del letto fosse uscita, veduta, prima che posto s'avesse il fattibello, leggiermente il vostro errore avresti riconosciuto. [283]Era costei, e oggi più che mai credo che sia, quando la mattina usciva del letto, col viso verde, giallo, maltinto, d'un colore di fumo di pantano, e broccuta, quali sogliono gli uccelli che mudano, grinza e crostuta e tutta cascante; in tanto contraria a quello che parea poi che avuto avea spazio di leccarsi, che a pena che niuno il potesse credere, che veduto non l'avesse, come vid'io già mille volte. [284]E chi non sa che le mura afumicate, non che i visi delle femine, ponendovi sù la biacca, diventano bianche e, oltre a ciò, colorite, secondo che al dipintore di quelle piacerà di porre sopra il bianco? E chi non sa che, per lo rimenare, la pasta, che è cosa insensibile, non che le carni vive, gonfia; e, dove mucida parea, diviene rilevata? Ella si stropicciava tanto, e tanto si dipigneva e si faceva la buccia, la quale per la quiete della notte in giù caduta era, rilevarsi, che a me, che veduta l'avea in prima, una strana maraviglia me ne facea. [285]E, se tu, come io 'l più delle mattine la vedea, veduta l'avessi colla cappellina fondata in capo e col veluzo dintorno alla gola, così pantanosa nel viso come ora dissi, e col mantello foderato covare il fuoco, in su le calcagna sedendosi, colle ochiaia livide tossire e sputare farfalloni, io non temo punto che tutte le sue virtù, dal tuo amico udite, avessero tanto potuto farti di lei innamorare che, quelle vedendo, cento milia cotanti non t'avessero fatto disamorare. [286]Quale ella dovesse essere, quando i Pisani col vermiglio all'asta cavalcano, colla testa lenzata e stretta, la doglia al capo apponendo dove alla parte opposita era il male, pènsalti tu. Sono molto certo che, se veduta così fatta l'avessi, o la vedessi, che, dove di' che vedendola al cuore dal suo viso le fiamme ti corsero come fanno alle cose unte, che ti sarebbe paruto che ti si fosse fatto incontro una soma di feccia e uno monte di letame; per lo quale saresti, come per le spiacevoli cose si fa, fuggito e ancor fuggiresti: e fuggirai, la mia verità imaginando."

[287]"Ma da procedere più avanti ci resta. Tu la vedesti grande e compressa; parmi essere certo, come io sono della beatitudine che per me s'aspetta, che, riguardando il petto suo, tu estimasti quello dovere essere tale e così tirato qual vedi il viso, senza veder e' bariglioni cascanti che le bianche bende nascondono. Ma di gran lunga è di lungi la tua estimazione dalla verità; e, come che molti ti potessero al mio dire vera testimonianza rendere, sì come esperti, a me, che forse più lungamente, non potendo altro fare, esperienzia n'ebbi, voglio che tu senza testimonio il creda. [288]In quello gonfiato, che tu sopra la cintura vedi, abbi per certo ch'egli non v'è stoppa né altro ripieno che la carne sola di due bozacchioni; che già forse acerbi pomi furono, a toccare dilettevoli e a veder similmente: come che io mi creda che così sconvenevoli li recasse dal corpo della madre; ma lasciamo andar questo. [289]Esse, qual che si sia la cagione, o l'essere troppo tirate d'altrui, o il soperchio peso di quelle, che distese l'abbia, tanto oltre misura dal loro natural sito spiccate e dilungate sono, se cascare le lasciasse, che forse, anzi sanza forse, infino al bellìco l'agiugnerebbono, non altrimenti vote o vize che sia una viscica sgonfiata; e certo, se di quelle, come de' cappucci s'usa a Parigi, a Firenze s'usasse, ella per leggiadria sopra le spalle se le potrebbe gittare alla francesca. [290]E che più? Cotanto, o meno, alle gote dalle bianche bende tirate risponde la ventraia; la quale di larghi e spessi solchi vergata, come sono le toriccie, pare un sacco voto, non d'altra guisa pendenti che al bue faccia quella buccia vota che li pende dal petto al mento; e per aventura non meno che gli altri panni quella le conviene in alto levare, quando, secondo l'oportunità naturale, vuol scaricare la vescica o, secondo la dilettevole, infornare il malaguida."

[291]"Nuove cose, e assai dalle passate strane, richiede l'ordine del mio ragionamento; le quali quanto meno schiferai, anzi con quanta più diligenza nello intelletto raccoglierai, tanto più di sanità recheranno alla tua infermità. Come che nel vero io non sappia assai bene da qual parte io mi debbia cominciare a ragionare del golfo di Settalia, nella valle d'Acheronte riposto, sotto gli oscuri boschi di quella, spesse volte rugginosi e d'una gromma spiacevoli e spumosi, e d'animali di nuova qualità ripieni; ma pure il dirò. [292]La bocca, per la quale nel porto s'entra, è tanta e tale che, quantunque il mio legnetto con assai grande albero navigasse, non fu già mai, qualunque ora l'acque furono minori, che io non avesse, senza sconciarmi di nulla, a un compagno, che con non minore albero di me navigato fosse, fatto luogo. Deh, che dich'io? L'armata del Re Ruberto, qualora egli la fece maggiore, tutta insieme concatenata, senza calar vela o tirare in alto temone, a grandissimo agio vi potrebbe essere entrata. [293]Ed è mirabile cosa che mai legno non v'entrò che non vi perisse e che, vinto e stanco, fuori non ne fosse gittato, sì come in Cicilia la Silla e la Cariddi si dice che fanno: che l'una tranghiotisce le navi e l'altra le gitta fuori. Egli è per certo quel golfo una voragine infernale; la quale allora si riempirebbe, o sazierebbe, che il mare d'acqua o il fuoco di legne. [294]Io mi tacerò de' fiumi sanguinei e crocei che di quella a vicenda discendono, di bianca muffa faldellati, talvolta non meno al naso che agli occhi dispiacevoli, per ciò che ad altro mi tira il preso stile. [295]Che ti dirò adunque più avanti del borgo di Malpertugio, posto tra due rilevati monti, del quale alcuna volta, quando con tuoni grandissimi e quando senza, non altrimenti che di Mongibello, spira un fummo sulfureo sì fetido e sì spiacevole che tutta la contrada atorno apuzola? Io non so che dirmiti, se non che, quando io vicino v'abitai (ché vi stetti più che voluto non arei), assai volte, da così fatto fiato offeso, mi credetti altra morte fare che di cristiano. [296]Né altrimenti ti posso dire del lezo caprino il quale, quando da caldo e quando da fatica, tutta la corporea massa incitata geme e spira; questo è tanto e tale che, coll'altre cose già dette raccolto, si fanno il covacciolo sentire del leone, che nelle Chiane, di meza state, con molta meno noia dimorrebbe ogni schifo che vicino a quello."

[297]"Per che, se tu e gli altri, che le gatte in sacco andate comperando, spesse volte rimanete ingannati, niuno maravigliar se ne dee. E per questa cagione sola, avendo tu il viso, come gli altri, più diritto alla apparenza che alla esistenza, forse meno se' da riprendere, quantunque a te più si convenga, che a molti altri, più la verità che l'opinione delle cose seguire: la quale poi che veduta avessi e dalla opinione non ti rimovessi, oltre a ogn'altra bestia, che umana forma porti, saresti da riprendere. [298]E io, secondo che io mi credo, ancora che brieve abbia parlato, avendo rispetto al molto che si può dire, sì aperta t'ho la verità che forse t'era nascosa, che, se dal tuo errore non ti rimovessi, oltre ad ogn'altra bestia dovresti bestia essere tenuto."

[299]"Io lascio cose assai a dire, per volere venire a quel dolore al quale ieri t'avea condotto la tua follia; e acciò che io ti possa ben dimostrare come tu eri folle, aggiugnendo le cose vecchie colle nuove, alquanto di lontano mi piace di cominciare. [300]Mostrato t'ho in assai cose quanta e quale sia stata la eccellenza dello animo di costei e i suoi costumi; e assai cose de' molti suoi anni t'arei dette, s'io t'avessi per sì smemorato che nel suo viso non gli avessi compresi; né t'ho nascose quelle parti, che la tua concupiscenzia non meno tirava ad amarla che facesse l'animo la falsa opinione presa delle sue virtù. [301]Ora della sua buona perseveranza e nella morte e dopo la morte mia mi piace di ragionarti, acciò che ad una ora io faccia pro a me e a te: in quanto, io di ciò, con alcuno che la conosca, ragionando, si sfogherà alquanto la sdegnosa fiamma nella mia mente accesa contra di lei per li modi suoi; e a te, per ciò che, quanto più udirai di lei delle cose meritamente da biasimare, tanto più, lei a vile avendo, t'appresserai alla tua guarigione."

[302]"Questa perversa femina ogni giorno più multiplicando nel fare delle cose, male a lei convenienti d'oprare e a me di sostenere, né in ciò le mie riprensioni alcuna cosa vagliendo, non sappiendo al comportarle più pigliare alcuno utile consiglio, in sì fatto dolore e afflizione, nel cuore nascosa, mi misero che il sangue intorno a quello, più che il convenevole da focoso cruccio riscaldato, impostemì; e, come nascosto era il dolore, così essendo nascosa la 'nfermità, non prima si parve che il corotto sangue, occupato subitamente il cuore, me quasi del mondo in uno stante rapì. [303]Né prima fu l'anima mia dal mortale corpo né dalle terrene tenebre sviluppata e sciolta e ridotta nell'aere puro che io, con più perspicace occhio ch'io non solea, vidi e conobbi qual fosse l'animo di questa iniqua femina; la qual sanza dubio simile allegreza a quella, che della mia morte prese, non sentì, quasi d'una sua lunga battaglia le paresse avere acquistato gloriosa vittoria, poscia che io levato l'era stato dinanzi; la qual cosa essa poco appresso, sì come tu udirai, chiaramente dimostrò a chi riguardar vi volle."

[304]"Ma tuttavia, sì come colei, che ha di malizia abondanzia, prima avendo delle mie cose occultamente assai transfugate e di quelli danari, che io alla sua guardia follemente avea commessi e che a' miei figliuoli rimanere doveano (non avendo io davanti assai pienamente li miei fatti e l'ultima mia intenzione ordinata, né avendo spazio di bene ordinarla per lo sùbito sopravenuto caso), quella parte presane che le piacque, con altissimo romore fuori mandò le finte lagrime: [305]il che meglio che altra femina ella sa fare; e, in molto pianto multiplicando, colla lingua cominciò a maladire lo sventurato caso della mia morte e sé a chiamare misera, abandonata e sconsolata e dolente; dove col cuore maladiceva la vita che tanto m'era durata e sé oltre ad ogn'altra reputava avventurata. [306]E veramente egli non sarebbe stato né uomo né donna alcuna, che udita l'avesse, che non avesse creduto lei veramente nell'animo <avere> quel che le sue bugiarde parole sonavano. Ma a me dee bastare assai che Colui quelle conosce, insieme cogli altri fatti suoi, che a ciascuno, sì come giusto iudice, secondo i meriti rende guiderdoni."

[307]"Mandati dunque ad essecuzione tutti gli ufici funerali, poi che 'l mio corpo, terra divenuto, fu alla terra renduto, la valente donna, disiderosa di più scapestratamente la sua vecchieza menare che non l'era paruto potere la giovaneza, sentendosi calda di quello che suo essere non dovea, per ciò che né di sua dota né <di> patrimoniale eredità sostenersi arebbe potuto di quello che a fare s'apparecchiava, né nella mia casa rimaner volle né in quella de' suoi nobili parenti e consorti tornare. [308]Ma con parole piene di compassione disse sé volere in alcuna piccola casetta e vicina ad alcuna chiesa, e di sante persone, riducersi, acciò che quivi, vedova e sola, in orazione e in usare la chiesa il rimanente della sua età consumasse. E fu tanto la forza di questo suo infinto parlare e sì maestrevolemente il seppe dire che assai furono di quelle persone sì semplici che così ebbono per fermo che dovesse addivenire come dicea, come hanno che morir debbano."

[309]"Appropinquossi addunque quanto più poté alla chiesa de' frati, nella quale tu prima la conoscesti; non già per dire orazioni, delle quali niuna credo che sappi né di sapere curassi già mai, ma per potere meglio, senza avere troppi occhi adosso, e massimamente di persone alle quali del suo onore calesse, le sue libidinose volontà compiere; acciò che, dove ogn'altro uomo le venisse meno, i frati, che santissimi e misericordiosi uomini sono e consolatori delle vedove, non le venissero meno. [310]Quivi, secondo che tu puoi avere udito, con suo mantello nero in capo e, secondo ch'ella vuole che si creda, per onestà molto davanti agl'occhi tirato, va faccendo baco baco a chi la scontra; ma pure, se bene v'hai posto mente, ora quello apre ora il richiude, non sappiendosi ancora delle usate vanità rimanere; e, quasi ad ogni parola in giù si tira le bende dal mento o caccia la mano fuori del mantello, parendogliele bellissima avere e massimamente sopra 'l nero."

[311]"Uscita adunque di casa, così coperta se n'entra ne la chiesa: ma non vorrei che tu credessi per udire divino uficio o per adorare v'entrasse, ma per tirare l'aiuolo. Per ciò che, sappiend'ella ch'è già lungo tempo che quivi d'ogni parte della nostra terra concorrono giovani prodi e gagliardi e savi, come le piacciono, di quella ha fatto uno escato, come per pigliare i colombi fanno gli uccellatori; e, per ciò che ciascuno non vede la serpe che sta sotto l'erba nascosta, spesso vi piglia de' grossi. [312]Ma, sì come colei che di variar cibi spesso si diletta, non dopo molto, sazia, a prender nuova cacciagione si ritorna; e, per averne ella tuttavia due o tre presti, non si riman'ella però d'uccellare; e, se io di questo mento o dico il vero, tu 'l sai, che parendoti bene mille occhi avere, senza sapertene guardare nelle panie incappasti."

[313]"Giunta addunque nella chiesa e non sanza cautela avendo riguardato per tutto, prestamente avendo raccolto con gli occhi chiunque v'è, incomincia, senza ristare mai, a faticare una dolente filza di paternostri, or dall'una mano ne l'altra e da l'altra ne l'una trasmutandoli, senza mai dirne uno, sì come colei la quale ha faccenda soperchia pur di far motto a questa e a quell'altra e di sufolare ora ad una ora ad un'altra nelle orecchie, e così d'ascoltarne ora una ora un'altra; come che questo molto grave le paia, cioè d'ascoltarne niuna, sì bene le pare sapere dire a lei; e in questo, senza altro far mai, tutto quel tempo, che nella chiesa dimora, consuma. [314]Forse direbbe alcuno: "Quello, che nella chiesa non si fa, ella il supplisce nella sua casetta". La qual cosa non è punto vera; per ciò che chi si potesse di ciò essere ingannato, altramenti credendo che 'l fatto sta, io, sì come colui che, s'ella alcuno bene facesse, o alcuna orazione o paternostro dicesse, il sentirei, non ne posso essere ingannato; per ciò che, non altrimenti che la fresca acqua è sopra i caldi corpi soave, così a quelli la mia arsura sentirei rinfrescare."

[315]"Ma che dich'io? Forse sono lo 'ngannato pure io: essa ne dice forse ad altrui nome. Già so io bene che non è ancora lungo tempo passato che del vostro mondo si partì uno, che con tanta afflizione la trafisse, ch'ella stette de' dì presso a otto ch'ella non volle bere uovo né assaggiar pappardelle. [316]Ma io così fidatamente ne favellava, per ciò che saper mi parea, e so, che le sue orazioni e paternostri sono i romanzi franceschi e le canzoni latine, e' quali ella legge di Lancelotto e di Ginevra e di Tristano e d'Isotta e le loro prodeze e i loro amori e le giostre e i torniamenti e le semblee. Ella tutta si stritola quando legge Lancelotto o Tristano o alcuno altro colle loro donne nelle camere, segretamente e soli, raunarsi, sì come colei alla quale pare vedere ciò che fanno e che volentieri, come di loro imagina, così farebbe; avvenga che ella faccia sì che di ciò corta voglia sostiene. Legge la Canzone dello indovinello e quella di Florio e di Biancifiore e simili cose assai. [317]E, se ella forse a così fatta lezione non intende, a guisa d'una fanciulletta lasciva con certi animaletti, che in casa tiene, si trastulla infino all'ora che venga più desiderato trastullo e che con lei si congiunga. [318]E, acciò che tu alcuna cosa più che nòi sappia della sua vita presente, t'afermo io che, dopo la morte mia, oltre agli altri suoi divoti, ha ella per amante il secondo Ansalone, di cui poco avanti alcuna cosa ti dissi, assai malconveniente a' suoi piaceri; il quale, come che per più legittime cagioni si dovesse da così fatta impresa ritrarre, mal conoscente di ciò che Dio gli ha fatto, pur vi s'è messo. [319]Ma non sarà senza vendetta l'offesa: per ciò che, se nel mondo, nel quale io dimoro, non si mente, che nol credo né non mi pare, egli ha della moglie un tal figliuolo, e per suo il nutrica e allieva, che gli appartiene meno che non fe' Gioseppo a Cristo; il quale, cresciuto, ogni mia ingiuria, se ingiuria dir debbo, vendicherà contra di lui. [320]Né è però assente, come egli si crede, dal volgare proverbio il quale voi usate dicendo: "Quale asino dà in parete, tale riceve"; se egli gli altrui beni lavora, e' viene d'altra parte chi lavora i suoi."

[321]"A così buona vita addunque e così santa s'è ritrovata vicina de' frati colei che non mia donna, ma mio tormento fu, mentre vissi. Colei così onesta, così laudevole, quale udisti, fu, prima che morte mi separasse da lei; e nella virtù e ne' costumi si dilettò ed esercitò, ch'io ti dissi; senza ch'ella è tale qual io brievemente te la disegno. [322]Per che vedere puoi di cui il tuo poco senno, il tuo poco conoscimento, la tua poca discrezione abagliato t'avea e per cui messa l'anima tua, la tua libertà o il tuo cuore nelle catene d'amore e in afflizione incomportabile e qui ultimamente in questa valle diserta condotto; di che omai saziare non mi potrei di riprenderti."

[323]"Ma da venire è all'ultima parte della nostra promessa, acciò che, più della tua impresa attristandoti, meriti più tosto il perdono e la tua salute. Tu, misero, te schernito reputi da costei; e a negare che tu schernito non fossi né io il farei, né tu, perch'io il facessi, il crederresti; ma non era da così gravemente prenderlo, come facesti, se così chi il faceva conosciuto avessi, come ora conoscer dèi. [324]E, acciò che tu conosca lei in questa cosa non avere altrimenti operato che fare si soglia nell'altre, e che tu del tutto fuori della tua mente la cacci, mi piace di dirti come e quello che io della tua lettera senti'."

[325]"Egli è vero che di qua spesso gente ne vien di là, la quale in parte quello, che ci si fa, racconta; ma nondimeno per alcuni accidenti n'è conceduto da Dio il venire di qua alcuna volta; e massimamente o per rammentare noi medesimi a coloro a' quali dee di noi calere, o per simile caso, come è questo per lo quale io sono a te venuto. [326]E avvenne che io quella notte ci venni, la qual è seguente al dì che tu la prima lettera scrivesti a questa tua donna; avendo visitati più luoghi, tirato da una cotale caritevole affezione, la quale non solamente gli amici ma ancora i nimici ci fa amare, colà entrai ove colei abita che ti prese; e, ogni parte della casa cercando e per tutto riguardando, avenne che io della lettera, di che tu ti ramarrichi, sentii novelle. [327]Egli era già una peza della notte passata, quando, entrato in quella camera, nella quale ella dorme, e quella, come l'altra casa, riguardata tutta, essendo già per partirmi, vidi in essa una lampana accesa davanti alla figura di Nostra Donna, poco da lei, che la vi tiene, faticata; e, verso il letto mirando dov'ella giaceva, non già sola, come io sperava, la vidi, ma <in> grandissima festa con quello amante, di cui poco avanti dissi alcuna cosa. [328]Per che ancora, arrestato, volli vedere che volesse la loro festa significare: né guari stetti, che alla richiesta di colui, con cui era, levatasi e acceso un torchietto e quella lettera, che tu mandata avevi, tratta d'un forzerino, col lume in mano e con la lettera a letto si ritornò. [329]E quivi, il lume l'uno tenendo e l'altro la lettera leggendo e a parte a parte guardandola, ti sentii nominare e con maravigliose risa schernire; e te or gocciolone or mellone ora ser Mestola e talora cenato chiamando, sè quasi ad ogni parola abracciavano e, parole tra' baci mescolando, si dimandavano insieme se tu, quando quella cosa scrivevi, eri desto o se sognavi. [330]E talvolta dicevano:"Parti che costui abbi l'arco lungo? Vedesti mai così nuovo granchio? Per certo questi l'ha cavalcata. Egli è di vero uscito del sentimento: e vuole esser tenuto savio! Domine, dagli il malanno! Torni a sarchiare le cipolle e lasci stare le gentili donne! Che dirai? Arestil mai creduto? Deh, quante bastonate gli si vorrebbono fare dare; anzi li si vorrebbe dare d'un ventre pecorino per le gote tanto quanto il ventre o le gote bastassero"."

[331]"Ahi, cattivello a te! Come t'erano quivi colle parole graffiati gli usatti e come v'eri per meno che l'acqua versata dopo le tre! Le tue Muse, da te amate e commendate tanto, quivi erano chiamate pazie, e ogni tua cosa matta bestialità era tenuta. [332]E, oltre a questo, v'era assai peggio che per te: Aristotile, Tulio, Virgilio e Tito Livio e molti altri uomini illustri, per quel ch'io creda, tuoi amici e domestici, erano come fango da loro e scherniti e anullati, e peggio che montoni maremmani sprezati e aviliti; [333]e, in contrario, se medesimo essaltando con parole da fare per istomacaggine le pietre saltare del muro e fuggirsi, soli sé essere dicevano l'onore e la gloria di questo mondo; di che io assai chiaramente m'avidi che 'l cibo e 'l vino, disordinatamente presi da loro, o il disiderio di compiacere l'uno all'altro schernendoti, di se medesimi, ne' quali forse non furono già mai, gli avea tratti. [334]Con queste parole e con simili e con molte altre schernevoli lunga peza della notte passarono; e per aver più cagione di farti dire e scrivere et essi di poter di te ridere e schernirti, quivi tra loro ordinarono la risposta che ricevesti; alla quale tu, rispondendo, desti loro materia di ridere e di dire altrettanto, o peggio, della seconda, quanto della prima t'avessono detto. [335]E, se non fosse che 'l drudo novello teméo non il troppo scrivere si potesse convertire in altro, forse della vanità di lei e della legereza sospicando, non dubitar punto che tu non avessi avuta la seconda lettera e poi la terza; e forse saresti aggiunto alla quarta. [336]Così addunque desti da ridere alla tua savia donna e valorosa e al suo dissensato amante; e, dove amore e grazia acquistare ti credevi, beffe e strazio di te acquistavi."

[337]"La qual cosa veggendo e udendo io, non già per amore di te, ché ancora assai bene non ti conosceva, ma perché cosa così abominevole sostenere non potea, assai male contento non per me ma per lei, mi partii pieno di sdegno e di gravosa noia. Questo, secondo che le tue parole suonano, non sapesti tu da singulare persona che ciò ti narrasse, ma da congetture prese da parole, da forse non troppa savia e nociva persona udite; e pure, di quel poco che comprendesti, in disperazione ne volevi venire. [338]Or che avresti detto, quando la mente tua era ancora inferma del tutto, se così ordinatamente avessi la cosa udita? Sono certo, senza più pensarvi, ti saresti per la gola impiccato; ma vorrebbe il capestro essere stato forte sì che ben sostenuto t'avesse, acciò che, rottosi, tu non fossi caduto e scampato, sì come colui che quello, e peggio, molto bene meritato avevi. [339]Ma, se cotale avessi la mente avuta e lo 'ntelletto sano, come dovevi, avendo riguardo a quello ch'io detto t'ho, non miga per quello che tu per li tuoi studi potevi sapere, ma a quello che per quelli ti sarebbe stato mostrato avendo voluto riguardare, riso te ne avresti, veggendo lei dalla general natura dell'altre femine non deviare; il che forse testé medesimo il fai; e fai saviamente, se 'l fai."

[340]"E quello, che di questa parte ho detto, quello medesimo dico della seconda. Che, se tu teco medesimo riguardare avessi voluto quanta sia la vanità delle femine, di quello ti saresti ricordato che già molte volte hai detto (cioè che gloriandosi elle somamente d'essere tenute belle, e, per essere, facciano ogni cosa, e tanto più loro essere paia quanto più si veggiono riguardare, più fede al numero de' vagheggiatori dando che al loro medesimo spechio), compreso avresti a lei non essere discaro, ma carissimo il tuo riguardare. [341]E, per ciò che esse di niuna cosa, che a loro pompa appartenga, contente sono se nascosa dimora, volonterosa che all'altre femine apparisca, te a dito mostrava per dare a vedere a quelle, alle quali ti dimostrava, sè ancora essere da tenere bella e d'avere cara, poi che ancora trovava amadore, e massimamente te che se' da tutti un gran conoscitore di forme di femine reputato; per che lei mostrarti aresti veduto in onore di te, non in biasimo, essere stato fatto da lei. [342]Ben potrebbe alcun altro dire il contrario: cioè che ella, per mostrarsi molto a Dio ritornata e avere del tutto la vita biasimevole, che piacere le soleva, abandonata, te a dito avesse mostrato, dicendo: "Vedete il nimico di Dio quanto s'oppone alla mia salute; vedete cui egli m'ha ora parato dinanzi per farmi tornare a quello di che io del tutto intendeva, e intendo, di più non seguire!", o forse con quelle medesime parole le quali avea al suo amante le tue lettere mostrate. [343]E altri direbbono che né l'uno né l'altro, né per l'una ragione né per l'altra, fatto l'avesse; ma solamente per voglia di berlingare e di cinguettare, di che ella è vaghissima, sì ben dire le pare: essendole venuta meno materia di dovere dire di sé alcuna gran bugia, per avere onde dirla, te dimostrava. Ma, qual che la cagion si fosse, ricorrere dovevi prestamente a quella infallibile verità: cioè niuna femina essere savia, e perciò non potere saviamente adoperare. [344]E, se riprensione in ciò cadeva, sopra te doveva degnamente cadere, sì come colui che credevi, avendola alcuna volta guardata o portandole alcuno amore, quello aver fatto di lei, in sua vecchieza, che né la natura né forse i gastigamenti aveano potuto nella sua giovaneza fare: cioè che ella savia fosse o alcuna cosa saviamente operasse. Tu addunque, non considerando né a te né a lei quello che dovevi, se cruccio grave n'avesti, cagione te ne fosti."

[345]"Ma lasciamo stare l'essere le femine così fiere, così vili, così orribili, così dispettose, come ricordato t'hanno le mie parole, e l'avere la lettera tua così fieramente palesata e te, per qualunque delle dette cagioni o per qualunque altra voglia, avere a dito dimostrato alle femine, e vegnamo al focoso amore che portavi a costei e ragioniamo della tua demenzia in quello. [346]Io voglio presupporre che vero fosse ciò che l'amico tuo del valore di costei ti ragionò; il che se così credesti che fosse, mai non mi farai credere che in lei libidinoso amore avessi posto, sì come colui ch'avresti conosciuto quelle virtù essere contrarie a quello tuo vizioso desiderio; e, <per> consequente, essendo esse in lei, mai non dovere venire fatto in quello atto cosa che tu avessi voluta; sì che non quelle ad amarla ti tirarono, ma la sua forma per certo; e alcuna cosa veduta di lei ti mise in speranza del tuo disonesto volere potere recare a fine. [347]Ma furonti sì gli occhi corporali nella testa travolti, che tu non vedesti lei essere vecchia e già stomachevole e noiosa a riguardare? E, oltre a ciò, qual cechità d'animo sì quelli della mente t'avea adombrati che, cessando la speranza del tuo folle desiderio in costei, con acerbo dolore ti facessono la morte desiderare? [348]Qual miseria, qual tiepideza, qual trascuraggine te a te così avea della memoria tratto che, venendoti meno costei, tu estimassi che tutto l'altro mondo ti dovesse essere venuto meno e per questo volere morire? [349]Part'egli così essere da nulla? Se' tu così pusillanimo, così scaduto, così nelle fitte rimaso, così scoppiato di cerro o di grotta o se' così da ogni uomo del mondo discacciato che tu costei per unico rifuggio e per tuo singulare bene eletta avessi, che, se ti mancasse, tu dovessi desiderare di morire? Qual piacere, quale onore, quale utile mai avesti da lei o ti fu promesso, se non dalla tua sciocca e bestiale speranza, il quale poi ti fosse tolto da lei?"

[350]"E la tua speranza che cosa ti poteva da lei giustamente promettere? Certo niuna, se non di metterti nelle braccia quelle membra cascanti e vize e fetide; delle quali sanza fallo, se saputo avessi il mercato il quale n'ha fatto e fa, come ora sai, sarebbe stato il disiderio minore. Forse speravi, potendole nelle braccia venire e avendo di quella prodeza della quale ella cotanto si diletta, così essere salariato, come fu già il cavaliere di cui di sopra parlai? [351]Tu eri ingannato, per ciò che, quando quello era, ella spendeva de' miei; oggi, de' suoi parendole spendere, non dubito punto che tu non le trovassi troppo più stretta la mano che tu non t'avisi. Egli è andata via quella magnificenza della quale forse tanto l'amico tuo la commendava. [352]E, se questo non isperavi, in quale altra cosa ti poteva ella molto valere? Potevati costei degli anni tuoi scemare? Sì forse, di quelli che sono a venire, per ciò che già ad altrui ne scemò: ma io non credo che tu questo avessi voluto; e giugnere non te ne potea, per ciò che solamente a Dio s'appartiene questo. Potevati costei delle cose assai, che tu non sai, insegnare? [353]Sì forse, delle malvagie, per ciò che già ad altrui ne 'nsegnò; ma io non credo che tu quelle vadi cercando; dell'altre mostrare non ti potea, per ciò che niuna buona ne sa. [354]Potevati costei, morendo tu o vivendo, beatificare? Sì forse, se quella è beatitudine, che essa col suo amante, te schernendo, diterminava, per ciò che già così n'ha assai beatificati; ma io non credo, poi che alquanto la luce t'è tornata dello intelletto, che tu quella beatitudine estimi ma tormento; della vera né hanne né arà mai, sì come colei che ad etterno supplicio per li carnali diletti già se medesima ha condennata. [355]Che dunque ti poteva costei fare? Certo io nol conosco; né credo ancora che tu il conoscessi o potessi conoscere. Forse t'arebbe potuto fare de' priori: che oggi cotanto da' tuoi cittadini si disidera. Ma io non so vedere il come, ramentandomi che nel vostro Campidolio non è da' vostri sanatori orecchia porta a' rapaci lupi dello alto legnaggio e del nobile, del quale ella è discesa. [356]Ma ben potrestù dire: sì, potrebbe, se così fosse a grado a tutti coloro che hanno a fare lo squittino, com'ella fu a te; e avesselo voluto fare. Ma questo mi pare che sarebbe impossibile: che a pena che io creda che non che tanti ma un altro se ne trovasse che così ne potesse divenire abagliato come tu divenisti. [357]Deh, misera la vita tua! Quanti sono i signori, li quali se io per li loro titoli te li nominassi, in tuo danno te ne vanaglorieresti, dove in tuo pro non te ne se' voluto ramemorare? Quanti i nobili e grandissimi uomini, alli quali, volendo, tu saresti carissimo? [358]E per soperchio e poco laudevole sdegno, il quale è in te, a niuno t'accosti; e, se pure ad alcuno, poco con lui puoi sostenere, se esso a fare a te quello che tu ad esso dovresti fare non si declina: cioè seguire i tuoi costumi ed esserti arrendevole; ove tu con ogni sollecitudine dovresti i suoi seguire e andargli alla seconda. [359]E a costei andando quanto tu più umilmente potevi, non parendoti così bene essere ricevuto come desideravi, non ti partivi – come fatto avresti e faresti, da quelli che esaltar ti possono, dove costei sempre ti deprimerebbe – ma chiamavi la morte che t'uccidesse; la qual più tosto chiamar dovevi avendo riguardo a quello a che l'anima tua s'era dechinata: e a che utilità? e a cui sottomessa? a una vecchia rantolosa, viza, malsana, pasto omai da cani più che da uomini; più da guardare la cenere del focolare omai che da apparire tra genti perché guardata sia."

[360]"Deh, lasciamo stare quello che tu, per tuo studio e di grazia, da Dio hai acquistato e vegnamo a quello solo che dalla natura t'è stato conceduto; e, questo veduto, se così sdegnoso ti mostri nell'altre cose, non d'essere stato schernito, come forse ti fai, tu ti piagnerai e lamentera'ti, ma d'averti, a modo ch'uno nibbio, lasciato adescare e pigliare alle busecchie. [361]Hatti la natura tanta grazia fatta che tu se' uomo, dove colei è femina per cui sì miseramente piangevi: e quanto uomo più degna cosa sia che femina in parte l'hanno le nostre parole dimostrato. [362]Appresso, s'ella è di persona grande e ne' suoi membri sì è proporzionata e nel viso forse, al tuo parere, bella: e tu non se' piccolo e per tutto se' così ben composto, come sia ella. Né difettuoso ti veggio in parte alcuna; né ha il tuo viso tra gli uomini men di belleza che abbia il suo tra le femine, con tutto ch'ella studi il suo con mille lavature e con altrettanti unguenti, dove ora il tuo rade volte, o non mai, pur con l'acqua chiara ti lavi; anzi ti dirò più: ch'egl' è molto più bello, quantunque tu poco te ne curi; e fai bene, per ciò che tale sollecitudine somamente agli uomini si disdice. [363]Una grazia l'ha fatta per insino a qui la sua natura più che a te; ché, se non mi inganna il mio iudicio, quantunque tu abbi la barba molto fiorita e, di nere, candide sieno divenute le tempie tue, et ella, pur nel mondo stata molti più anni che tu non se', quantunque forse non gl'abia così bene adoperati, non le ha mutate. [364]Per che, raguagliando molto la prima cosa, nella quale tu se' meglio di lei, con questa ultima, nella quale pare che essa sia meglio di te, essendo quella di mezo del pari, dico che così tosto dovrebbe ella essersi fatta incontro a te ad amarti, come tu ti facessi incontro a lei. S'ella nol fece, vuo' tu perciò per la sua sconvenevoleza consumarti? Ella, a buona ragione, ha più da ramaricarsi che non hai tu; per ciò che della sua sconvenevoleza ella perde, dove tu ne guadagni, se ben porrai mente ogni cosa."

[365]"Ma tu rifichi pur gli occhi della mente ad una cosa, della qual ti pare avere molto disavvantaggio da lei, e di che io niuna menzione feci, quando l'altre andai raguagliando; e avisa che quella sia la cagione per la quale tu schifato sii: cioè che a te pare che ella gentildonna sia, dove a te non pare essere così; il che presummendo che così fosse, non perciò saresti lasciato, se guardi a chi è il secondo Ansalone, che è cotanto nella sua grazia. [366]Ma in ciò mi pare che tu erri, e gravemente; primeramente in ciò: che tu, lasciando il vero, seguiti l'opinione del popolazo il quale sempre più alle cose apparenti, che alla verità di quelle, dirizano gl'occhi. Ma non sai tu qual sia la vera gentileza e quale la falsa? Non sai tu che cosa sia quella che faccia l'uomo gentile e qual sia quella che gentile esser nol faccia? [367]Certo sì ch'io so che tu 'l sai. Né niuno è sì giovinetto nelle filosofiche scuole che non sappia noi da uno medesimo padre e da una madre tutti avere i corpi, e l'anime tutte iguali e da uno medesimo Creatore; né niuna cosa fa l'uomo gentile e l'altro villano, se non che, avendo ciascuno parimente il libero arbitrio a quello operare che più li piacesse, colui, che la virtù seguitò, fu detto gentile; e gli altri per contrario, seguendo i vizi, furono non gentili reputati: dunque da virtù venne prima gentileza nel mondo. [368]Vieni ora tu tra' suoi moderni e ancora tra' suoi passati cercando e vederai quante di quelle cose, e in quanti, tu ne troverai che facciano gli uomini gentili. L'avere avuto forze che in loro vennono da principio da fecunda prole, che è naturale dono e non virtù, e con quello avere rubato e usurpato e occupato quello de' loro vicini meno possenti, che è vizio spiacevole a Dio e al mondo, li fece già ricchi; e, dalle riccheze insuperbiti, ardirono di fare quello che già soleano i nobili di fare: cioè di prendere cavalleria; nel quale atto ad una ora se medesimi e i vai e gli altri militari ornamenti vituperarono. [369]Qual gloriosa cosa, qual degna di fama, quale autorevole udistù mai dire, che per la re publica, opure per la privata, alcuno di loro adoperasse già mai? Certo non niuna; fu adunque il principio della gentileza di costoro forza e rapina e superbia, assai buone radici di così laudevole pianta. Di quegli che ora vivono è la vita tale che l'esser morto è molto meglio. [370]Ma pure, se stato ve ne fosse alcuno valoroso, che fa quello a costei? Così bene te ne puoi gloriar tu, come ella e qualunque altro si fosse: la gentileza non si può lasciare per eredità, se non come la virtù, le scienzie, la santità e così fatte cose; ciascun conviene che la si procacci e acquistila, chi avere la vuole."

[371]"Ma, che che stato si sia negli altri, diriza un poco gli occhi in colei, di cui parliamo, che così gentil cosa ti pare; o chi ella sia al presente o nel pretérito stata sia riguarda. S'io non errai, vivendo seco, e se bene quello, che di lei poco innanzi ragionai, raccogliesti, ella ha tanto di vizio in sé che ella ne brutterebbe la corona imperiale. Che gentileza ti può dunque da lei essere gittata al volto, o rimproverata non gentileza? [372]In verità, se non che parrebbe che io lusingare ti volessi, assai leggiermente e con ragioni vere ti mosterrei <te> molto essere più gentile che ella non è, quantunque degli scudi de' tuoi passati non si veggano per le chiese appiccati. Ma così ti vo' dire che, se punto di gentileza nello animo hai, o quella avessi che già ebbe il legnaggio del re Bando di Bernvich, tutta l'avresti bruttata e guasta, costei amando."

[373]"Ora io potrei, oltre a quello che ho detto, ad assai più altre cose procedere; e con più lungo sermone e con parole più aspre contro alla ignominia della malvagia femina che ti prese e contro alla tua follia e alla colpa da te commessa; ma, volendo che quelle che dette sono bastino, quelle che tu vuogli dire aspetterò."

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